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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quella del brodetto alla sambenedettese è un’antica ricetta che si tramandano le famiglie, da generazioni. In occasione dell’Expo 2015, sarà proprio questo tipico piatto a rappresentare la Riviera delle Palme nel mondo e per l’occasione lo chef Federico Palestini ha proposto la sua versione, senza il pesce spinoso, e con solo tre tipologie di pesce: palombo, seppia e gattuccio. Dobbiamo precisare, però, che la ricetta ideata dal cuoco non è stata propriamente digerita da tutti in città e vediamo perché.

LA POLEMICA – Il piatto, che il titolare della Caserma Guelfa proporrà in uno dei ristoranti presenti nel padiglione di Oscar Farinetti, è al centro di varie polemiche, perché non rispetterebbe la tradizione del pescato locale. Sandro Assenti della Confesercenti ha recentemente dichiarato sulla stampa che si correrebbe il rischio che i turisti presenti all’Expo, una volta giunti a San Benedetto, non riconoscerebbero il vero piatto tradizionale.

MA COME DEVE ESSERE FATTO UN BRODETTO? – Un gran numero di persone sostiene che per fare il brodetto sambenedettese occorrano 12 pesci “tanti quanti gli apostoli”: seppia e polpo, coda di rospo, vocca in capo, mazzolina, scorfano, rana pescatrice, triglie, palombo a fette, gattuccio, razza occhiata, merluzzo o busbana. Ma poi ci sono signore anziane che parlano di 17 tipi di pesce e una in particolare ha detto che ne usa 21 (poi non è riuscita a farci l’elenco preciso, ma era giusto riportare anche la sua versione). L’unico comune denominatore di tutte le ricette è l’utilizzo di peperoni, pomodori verdi e aceto, che conferiscono al piatto il tipico sapore acidulo.

LA STORIA – Ma come è nato il brodetto sambenedettese? Innanzitutto il termine “brodetto” pare derivi dalla traduzione croata di barca, che è Brod, perché è nato proprio sulle imbarcazioni e lo cucinavano i pescatori a bordo, con tutto quello che avevano. Le quantità e i tipi di pesce dipendevano da quanto pescato i marinai riuscivano a prendere con le reti: delle volte anche un solo tipo di pesce. Poi si cominciò a cucinarlo in ogni casa e ogni cuoca/cuoco viveva nella convinzione di possedere la ricetta che rispettasse di più la tradizione. Un po’ come succede nelle case ascolane, con le olive fritte, ma lì esiste un disciplinare da tempo.

IL DISCIPLINARE – Sono anni che anche a San Benedetto si parla di un disciplinare, che dia indicazioni sugli ingredienti da utilizzare e su sulla modalità di esecuzione. Nel 2013 fu l’istituto Alberghiero della città, l’Ipassar Buscemi, a proporre con forza di stilare delle norme, ma non se ne fece nulla. A Porto San Giorgio invece, tanto per citare un esempio, il brodetto sangiorgese è già De.Co (Denominazione Comunale) da qualche tempo.

I RISTORANTI A SAN BENEDETTO – Il problema del brodetto sambenedettese non si ferma al numero degli ingredienti giusti, ma anche alla sua disponibilità nei ristoranti. Per i turisti, magari attirati proprio dal piatto tradizionale, non è facile trovarlo. Essendo una pietanza che ha bisogno di diverse ore di lavorazione, deve essere prenotato prima, magari anche il giorno prima, e non tutti lo sanno. Delle volte non lo si trova nemmeno nel menu.

CONCLUSIONI – Affidiamo la chiosa dell’articolo alle parole del professor Renato Novelli, che nella sua Brodettogonia (uno studio sulla tradizione del piatto), lo definisce così: “Il brodetto sambenedettese somiglia alla commedia dell’arte: caratteri fissi e variazioni improvvisate”.

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