Articolo
Testo articolo principale

Il 25 Aprile è un giorno che appartiene al mio essere cittadino. Sono nata in un periodo storico dove le guerre, terribili e sanguinarie che siano, mi arrivano di fronte agli occhi, per ora almeno, solo grazie alle immagini web e tv e dove, per uno strano scherzo fortunato del destino, tutta la realtà a me vicina sembra “sicura”. Tuttavia, non possiamo non ricordare che questo mondo è così perché qualcuno si è battuto. La libertà e la democrazia non sono date una volta e per sempre ma vanno difese da tutte le forme di sopraffazione. In questi giorni ho pensato a lungo a quali libri potervi consigliare per dedicare qualche ora di lettura alla memoria della resistenza. I Classici li conoscete tutti: Il Partigiano Johnny, Il sentiero dei Nidi di Ragno e mille altri. I contemporanei hanno pubblicato cose molto belle: Dove finisce Roma è un romanzo intenso, che segnalo con piacere. Ci sono anche tanti libri di testimonianza che meritano la nostra attenzione come ad esempio: Io che conosco il tuo cuore, dedicato ai fratelli Cervi e Partigia, documento storico e narrativo.

Una riflessione attraversa però il mio pensiero. La memoria della Resistenza è spesso minacciata da revisionismo e da tanti “se e ma” che cercano di sminuirne l’importanza. Sono d’accordo ad ammettere che la guerra è guerra e che molto di “feroce” deve aver accompagnato tutti i fronti ma chi tenta, negli ultimi anni, di delegittimare la resistenza dicendo che è stata violenta e brutale tanto quanto (e addirittura di più) il regime che combatteva mi dà l’idea di non rendersi conto della fortuna che ha a vivere in una situazione dove può dire ad alta voce quello che vuole…

La memoria è importante. E anche le parole lo sono. Resistenza è una bella parola e chi non la vuole usare o cerca di svilirla fa torto a se stesso, alla storia e anche al presente. Questa polemica mi ha fatto pensare anche al tema caldo di questi giorni legato al dibattito relativo al Genocidio Armeno. Un milione e mezzo di morti ammazzati perché “Armeni” non sono un massacro, non sono un atto violento di una guerra. Sono le vittime di un genocidio. Le parole sono pietre, diceva il poeta. Bene quando serve usiamole con il peso che meritano. E tanto per aiutare la memoria anche in questo senso ecco un paio di titoli su questa altra parola “scomoda” della storia: Il genocidio degli armeniIl grande male, e La strada di Smirne.

Scrivetemi le vostre letture a info@bibliodiversita.it

TAG: , , ,