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Avviso ai naviganti: questo post su libri e società è polemico, molto polemico. L’ho covato, da lettrice snob e incontentabile quale sono, per diverso tempo ma ho deciso solo ora, nella placida calma di luglio, di dar sfogo a un sentimento di fastidio represso che da un po’ mi accompagna.

Mi spiego meglio: da qualche tempo sulle reti generaliste sono tornate di moda le campagne a favore della lettura (sempre d’estate, nel pieno momento delle offerte editoriali per i vacanzieri annoiati).

Si tratta di spot tristi, dove il piacere della lettura viene visto in modo sinceramente così squallido che da lettrice un po’ mi vergogno. Non so se ricordate lo spot di qualche anno fa dove i ragazzini si passavano un libro come se fosse un pallone da basket: il sottotesto ufficiale era: “passa la cultura” (quello che leggevo io era “ma fatti una partita a basket che ti diverti di più”). 

Bene, non paghi di questo capolavoro i pubblicitari si sono inventati un nuovo fantastico spot.

Ve lo descrivo per chi non avesse avuto modo di visionarlo. Interno di un bar, tutti parlano e hanno rapporti sociali. Su un divano in disparte una languida fanciulla legge tutta fremente le pagine di una classico della letteratura, “Cime tempestose” ed è talmente intenta nella sua appassionata rivisitazione degli amori di Cathy e Heathcliff che non si accorge del belloccio che la fissa imbambolato e pronto a invitarla a uno spritz.

Conclusione dello spot: “io leggo, e tu?”

Conclusione mia: “meglio di no, altrimenti mi perdo il belloccio che mi invita e soprattutto lo spritz”.

Libri e società, le mie riflessioni

In questo spot contesto alcune cose:

La prima la ragazza legge un romanzo d’amore come se una donna può provare piacere letterario solo immaginandosi impelagata in qualche sfigatissima storia di desideri irrealizzabili (pensateci, se lo spot avesse avuto un lettore maschio avremmo mai visto leggere Cime tempestose?

Magari un romanzo d’avventura o addirittura un saggio, ma d’amore no di certo). Insomma già dalla prima scena passa il cliché che vuole le donne lettrici ma solo perché romanticone inguaribili alla perenne caccia del principe azzurro (certo che mettere Heathcliff come principe azzurro è da fuori di testa, se mi permettete). Insomma se una donna legge è per evadere dalla realtà non per farsi una cultura o riflettere sul mondo.

Punto due: legge in un bar affollato. Ma perché?

Cari amici lettori, sì, anche a me è capitato che certi romanzi mi prendessero l’anima al punto da non riuscire a dormire ma, almeno, se esco con gli amici ho rispetto della compagnia e non mi porto dietro il libro. Insomma già una stazione del treno con le lunghe attese di una coincidenza sarebbe stata più credibile.

Altrimenti i lettori vengono descritti come asociali incapaci di godere della presenza degli altri.

Punto tre. Sono per la libertà del lettore ma sinceramente se si fa uno spot per promuovere la lettura in Italia, non è un po’ triste scegliere come libro un romanzo inglese dell’ottocento?

Va bene l’esterofilia ma santo cielo possibile che non avevamo neanche un testo adatto allo spot?

Eppure la nostra letteratura è piena di appassionati momenti letterari. Insomma non sarebbe stato altrettanto coinvolgente un passo di un classico come il nostro “Gattopardo”?

Oppure addirittura osare con un moderno passaggio tratto da un romanzo di una delle nostre scrittrici più famose come Dacia Maraini (il bellissimo “La lunga vita di Marianna Ucria”) o Melania Mazzucco (e lo struggente “Vita”)?

Oppure sparigliare le carte e dimostrare che anche Manzoni se letto con la dovuta enfasi è appassionante…. (vi immaginate una bella voce profonda e impostata che legge il terribile “la Sventurata rispose”?).

Insomma sono stata delusa da questo spot, pieno di ovvietà e a mio modesto parere controproducente.

La mia proposta

Uno spot sul piacere della lettura dovrebbe dare l’idea del senso di libertà e potere che la conoscenza regala attraverso le pagine. La luce che passa tra le pieghe della carta.

Immagino uno spot così (magari un po’ ovvio diranno i pubblicitari, ma io faccio la libraia, ricordatelo): ragazza/ragazzo a casa dei nonni (perché l’amore per i libri è sempre ereditato da qualcuno, genitore, amico, maestro); libri sparsi ovunque; fermo immagine su un volume, ad esempio “Il barone rampante” (abbiamo dei miti come Calvino, per favore usiamoli!).

A questo punto pausa. Giovane chiede: “di che parla, che vuol dire rampante?” (fidatevi alcuni preadolescenti non lo sanno). E il nonno (o la nonna) ridacchia e dice “puoi scoprirlo da te”. E se ne va. La lettura inizia così per dispetto.

E improvvisamente via la stanza, via i tablet, via i muri via il cielo e sotto i piedi cresce il tronco del grande albero le cui foglie sono fatte di libri e introno cieli stellati, parole, musiche e navi volanti e battaglie e persone che lottano per la bellezza e la giustizia. Buio. Poi la scritta e qui allora sì, si può scrivere “io leggo, e tu?”.

Presa dalla polemica ho scordato il percorso di lettura… o forse c’è? (cercate nel testo che trovate bellissimi capolavori italiani!)

Scrivetemi a info@bibliodiversita.it

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