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Se ne sente tanto parlare, ma tutti noi, almeno una volta, ci saremo chiesti: cos’è esattamente una scuola di musical? Ebbene, Bernstein, SDM, Gipsy, TMA, MTS, MAC, Fonderia delle Arti, nomi e sigle stelle della vasta costellazione delle accademie in cui si insegna recitazione, canto, ballo, scuole da cui escono i performer che incantano i palcoscenici d’Italia.

Ma a che pro intraprendere un percorso di studi, se non di vita, del genere in una terra che non riesce ad esaltare i propri talenti, tanto meno quelli figli delle arti performative?

Teatri storici sempre più vuoti, stagioni costruite intorno a nomi inadatti al teatro, a volti della tv atti a richiamare lo spettatore desideroso di scattarsi una foto più che di battere le mani. Entrare
al Sistina e sentire lo sgranocchiare dei pop corn piuttosto che il sacro silenzio che dovrebbe accompagnare ogni tipo di performance svilisce il lavoro dell’attore più della misera paga che lo
attende.

Non sorprende quindi assistere a due fenomeni: da un lato il circolare solo delle grandi produzioni con i soliti titoli che, seppur belli, meriterebbero di essere rinnovati; dall’altra parte la fuga delle
nostri voci, di cantanti, attori, ballerini il cui talento viene riconosciuto e premiato all’estero. 

Inoltre, i costi e le spese che una compagnia deve affrontare sono enormi ed ecco che uno spettacolo si lega ad un teatro e ad una città, non affrontando tour nazionali.

Mancano quei piccoli mondi come “Spring Awakening”, in grado di durare più di qualche data, e mancano dei produttori coraggiosi (e onerosi) come David Zard, capaci di importare e finanziare
grandiosi allestimenti.

La patria del musical continua ad essere Broadway e il West end, ma lo spettatore italiano inizia ad esigere di più, a voler assistere a show mai visti come “Wicked”, “The lion king”, “Matilda” solo per citarne alcuni.

Ma chi merita senza dubbio è l’attore, il giovane talento a cui spesso viene negato lo stipendio (vedi la vicenda recente di “Divo Nerone”) o al quale la totale mancanza di opportunità costringe a valicare i confini nazionali. 

Fuori si e in Italia no, perché? La mentalità anglosassone ci insegna che il doposcuola, sia negli ambienti pubblici che in quelli privati, non è fatto solo di sport ma anche di corsi di canto, ballo,
arte, recitazione che compongono l’ossatura dell’offerta formativa, influendo sulla media dello studente e influenzando la sua personalità.

Studiare il rapporto con il proprio corpo nello spazio vuol dire conoscersi, approfondirsi, socializzare e migliorarsi. Oltre le citazioni e le frasi fatte la musica e la danza sono componenti  caratterizzanti di ciò che rende l’Uomo tale, al pari del pollice opponibile o dell’avere due gambe.

Il coraggio dei piccoli di diventare grandi passa anche per lo studio di queste materie perciò frequentare accademie, scuole o associazioni non significa “sprecare” il proprio futuro, ma
investire su sé stessi nel modo più audace possibile.

 

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