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Pier Paolo Flammini, l’intervista al candidato di Liberi e Uguali, in corsa per il collegio uninominale Marche Sud alla Camera dei deputati per le elezioni 2018.

Impossibile non iniziare parlando dei fatti di Macerata, lei che sta girando molto sul territorio lo percepisce questa forte tensione sociale?
“La crisi economica e sociale e un impoverimento anche culturale a cui stiamo assistendo facilita il successo di chi promette facili soluzioni a problemi complessi. La storia ce lo insegna, sappiamo in che modo i fascismi e i nazismi si imposero fra le due guerre. Anche lì vi era una diffusa povertà, l’economia era per i pochi più ricchi e contro i molti, e per ottenere il consenso si iniziò a dare la colpa agli stranieri, o agli ebrei. Il meccanismo psicologico che i vari Salvini, Casapound ma anche Berlusconi a tratti cercano di sfruttare è identico: si chiama paura, è l’elemento più potente a disposizione dei demagoghi. Occorre uno sforzo notevole per contrapporre, sempre, la ragione. Ho avuto la fortuna di fare il volontario in Uganda, una terra bellissima devastata da guerre e dittature. Ebbene, decine di giovani si riunivano per guardare nell’unico televisore del villaggio le partite del campionato di calcio inglese. Da lì, parte il loro sogno di venire in Europa. L’immaginario è la calamita più potente: forse Salvini ha il potere di spegnere le tv o internet? Assolutamente no. A fronte di questo movimento migratorio di massa si può rispondere come fa strumentalmente la Lega, che usa parole di una violenza estrema (“Occorre una pulizia di massa via per via, quartiere per quartiere, usando anche modi violenti”), o cercando di governare al meglio il fenomeno. Le politiche migratorie vanno ripensate interamente. Il che significa abolire la Bossi-Fini, che impedisce l’ingresso regolare e obbliga solo alla traversata sui barconi. Stringere accordi con gli Stati di partenza sul numero di ingressi, obbligare e verificare che non vi siano violazioni dei diritti umani, migliorare la cooperazione internazionale sono tre elementi da prendere in considerazione. In Italia, occorre creare le premesse di una integrazione migliore: no ai ghetti, sì all’accesso ai servizi pubblici. Il resto è soltanto demagogia e il solito classismo di destra”.

A inizio anno anche un altro episodio di intolleranza si è verificato questa volta a Spinetoli, colpa anche dei media e di chi getta “benzina sul fuoco” sul tema dell’immigrazione?
“Sul caso di Spinetoli, al di là forse di qualche eccesso, mi sembra che i media locali abbiano svolto una funzione di informazione corretta. Ovviamente anche noi giornalisti non possiamo limitarci alla cronaca. Dobbiamo anche commentare ed esporre la nostra posizione, altrimenti rischiamo di diventare funzionali alla propaganda o alle pulsioni di qualche momento. Diverso è il discorso politico. Ci sono forze, e torno a Lega e Casapound, che usano slogan di per sé discriminatori che poi si insinuano nelle menti dei più giovani con gravi conseguenze. A Spinetoli, purtroppo, vi è stato un tracollo anche del Pd, incapace prima di gestire l’arrivo dei migranti, poi di fare da argine all’estremismo di destra. Non credo che sia un partito più in grado di contrastare le nuove destre all’orizzonte”.

Dal Brancaccio fino a Liberi e Uguali, cosa l’ha spinta a scendere in campo con la lista di Grasso.
“Da sempre sono stato attivo o sostenitore di associazioni o comitati dell’area cosiddetta civica, ambientalista e keynesiana. Poi ho ritenuto doveroso impegnarmi in prima persona per la difesa della Costituzione, con la vittoria del No al referendum del 4 dicembre. Ho superato i 40 anni, ho un bambino piccolo e i genitori che hanno bisogno di aiuto. Si arriva ad una fase della vita, almeno nel mio caso, in cui tanti anni di studi e di esperienze hanno bisogno di essere condivisi anche in forme nuove, posto che come giornalista il confronto ideale è stato una mia ricerca costante. Sento che oggi è necessario davvero un cambio di paradigma, e non solo di facce e slogan, come accaduto negli ultimi 25 anni. Anche perché chi è della mia generazione ha vissuto la sua vita politica nella cosiddetta Seconda Repubblica e nella vittoria delle politiche di destra, spesso grazie al sostegno del cosiddetto centrosinistra. Con il Brancaccio ho tentato, con altri, un percorso diverso, che poi è in parte sfociato in Liberi e Uguali, dove si candidano personalità in prima fila del movimento costituzionale come Anna Falcone, Felice Besostri e Piergiovanni Alleva, ascolano, qui nelle Marche. Il programma si concentra sui diritti sociali, come deve fare una sinistra che vede in Corbyn o Sanders nuovi punti di riferimento: lavoro, salute, istruzione, ambiente, progressività fiscale, piano di investimenti pubblici. Possiamo dire che per la prima volta in vent’anni abbiamo una lista con un programma marcatamente socialista, o comunque socialista democratico. Insomma: prendere i valori della Costituzione e farne un programma di attuazione. Soltanto così possiamo resistere. Dobbiamo ridare alla politica basi solide in epoca di pensieri gassosi, altrimenti sarà la fine”.

Anche se ora si parla soprattutto di immigrazione, sono molti i problemi del territorio. Pier Paolo Flammini, quale deve essere secondo lei la priorità per il Piceno?
“Il lavoro e la questione giovanile, prima di tutto. A questo aggancerei la ricostruzione del terremoto, perché sono connesse. Senza entrare nelle critiche specifiche della “non” ricostruzione, occorre dire che l’abbandono dell’Appennino e l’incapacità dello Stato di essere presente nell’area del cratere segnano nettamente il fallimento delle politiche di Renzi, un Blair fuori dalla storia. Stiamo col cappello in mano a chiedere l’elemosina a iniziative meritorie dei privati, come Della Valle o la Fondazione La Stampa, per investimenti in quell’area. Serve invece un Piano del Lavoro, come da nostro programma, specialmente in interventi piccoli di messa in sicurezza, riconversione ecologica, tutela paesaggistica e artistica, servizi. Nulla di tutto questo è presente nella strategia dei bonus che possono essere utili in una fase di emergenza ma che non consentono ad una terra martoriata di ripartire. Direi che qui ci giochiamo il futuro dell’Italia. E un piano del lavoro sarà utile a tantissimi giovani e meno giovani oggi disoccupati. Soltanto così possiamo poi far ripartire anche l’economia privata, le piccole e medie imprese. Bisogna capire che l’intervento pubblico è fondamentale per immettere ricchezza che poi stimola anche il settore privato. La Sanità pubblica deve tornare centrale, mentre assistiamo ad una strisciante privatizzazione. In LeU ci battiamo, ad esempio, per l’eliminazione dell’intra moenia: non è giusto che un dottore che agisce nel settore pubblico possa poi somministrare i servizi richiesti dietro il pagamento di un corrispettivo all’interno della stessa struttura pubblica. Quanto meno ciò avvenga fuori dagli spazi della sanità pubblica”.

In molti parlando dei collegi uninominali parlano della divisione tra LeU e PD come un assist ai 5 Stelle e al Centrodestra, è il ritorno della “sindrome di Tafazzi” oppure non c’erano le condizioni per un’alleanza?
“Non ci sono grandissime differenze tra i programmi di Forza Italia e Partito Democratico. Infatti, con la Lega, hanno voluto questa legge elettorale in vista di un possibile accordo in Parlamento. Sarebbe impossibile un accordo con il Pd con una base programmatica che vede la reintroduzione dell’articolo 18, l’abolizione della Buona Scuola, investimenti pubblici anziché bonus a pioggia, progressività fiscale quali elementi caratteristici del nostro programma. Gli accordi si fanno su questi punti, non sulla convenienza elettorale. Il mio impegno è per rilanciare una visione costituzionale, quella che ha consentito ai nostri genitori di progredire. Non possiamo permetterci di lasciare ai nostri figli un paese in mano alla povertà ed ai professionisti della paura. Renzi ha approvato una legge elettorale incostituzionale e ne ha imposta un’altra molto dubbia, con una de-forma costituzionale bocciata clamorosamente. Quando si va in giro, la prima cosa che chiedono i cittadini è di non appoggiare Renzi”.

Nel programma di Liberi e Uguali c’è la volontà di ripristinare l’Articolo 18, è proprio sul lavoro dove si è consumata la frattura con il Pd?
“Ci tengo a precisare che sono una candidatura indipendente, non iscritta a nessun partito. Ma se allarghiamo lo sguardo, nel Piceno abbiamo candidati che non arrivano dal Pd e nelle Marche i tre capolista arrivano da Sinistra Italiana e Possibile. Ad ogni modo il tema del lavoro è centrale nella distanza che ci separa dal Pd e dalle altre formazioni. Incredibilmente, nonostante il fallimento di 25 anni di liberismo, continuano a ripetere e ad approvare norme per ridurre la sicurezza dei lavoratori. Questo attacco è all’apparenza un aiuto anche alle piccole e medie imprese commerciali e anche artigianali, in realtà è un assist solo alle grandi imprese esportatrici, che abbassano i costi per vendere all’estero, incuranti di quel che accade in Italia. Le piccole imprese comprese quelle commerciali, non trovano acquirenti perché le famiglie hanno sempre meno denaro e sono meno sicure. Questa è una trappola che sta distruggendo l’economia italiana. Serve un nuovo patto tra lavoratori e mondo imprenditoriale. Per questo occorre ripartire dalle politiche keynesiane e dalla Costituzione, che hanno garantito benessere diffuso e non le attuali disuguaglianze. Il tema del lavoro è connesso con la giustizia sociale e ad un rifiuto netto all’austerità degli ultimi anni, imposta dalla Commissione Europea”.

Pier Paolo Flammini quali sono le sue aspettative in merito al voto del 4 marzo?
“C’è una necessità inderogabile: impedire che nel prossimo Parlamento i 2/3 dei seggi siano in mano alle destre e Pd di Renzi. Entrambi vorranno nuovamente cambiare la Costituzione e se avranno questi numeri lo faranno senza trovare opposizione: ciò rappresenterà un colpo mortale per la democrazia italiana. Liberi e Uguali non mescolerà i suoi voti per un governo con Salvini e Berlusconi: rappresenta davvero un voto utile e chiaro di alternativa alle destre sempre più violente e persino venate di neo-fascismo. Personalmente ho affrontato questa sfida con passione e coraggio, sto incontrando molti cittadini che apprezzano la mia presenza, il che mi fornisce grande stimolo nel rappresentarli. Io credo che ci sia la necessità di dare un segnale importante anche sulla persona candidata sull’uninominale. La mia candidatura indipendente testimonia la vicinanza che desidero avere col territorio: abbiamo invece esperienze di parlamentari che scompaiono dall’orizzonte una volta eletti e rispondono esclusivamente a logiche di potere. Per me non sarà così, non è nella mia natura”.

In caso di larghe intese, meglio guardare al Centrosinistra o al Movimento 5 Stelle?
“Il “No” al referendum per il quale mi sono battuto, fortunatamente, impone che i partiti sappiano parlarsi per arrivare a mediazioni nell’interesse pubblico. Gli accordi, tuttavia, si fanno sui temi. Per questo ritengo che una affermazione di LeU nel panorama politico come un’ancora di salvezza per i sinceri democratici che ancora sono nella base di Pd e M5S. Un accordo con LeU li garantirebbe del rispetto dei principi costituzionali, del tema del lavoro, dell’ambiente e della giustizia. Altrimenti sia Pd che 5S diventeranno irrimediabilmente partiti di destra. Attualmente non ci sono dichiarazioni chiare, anzi. Il Pd di Renzi ha scritto la legge elettorale con Berlusconi sperando in un accordo in Parlamento. Di Maio invece sta cambiando pelle al movimento di Grillo, che almeno, cinque anni fa, era potenzialmente dirompente. Il loro consigliere economico, Fioramonti, collabora con l’ex ministro Giovannini ed è vicino alla fondazione Rockfeller e George Soros, figure demonizzate dal 5S in questi anni. Ed ora lo ritrovano a guidare il movimento scelto dal “capo”, altro che uno vale uno. Ma non è una figura isolata: Alessia D’Alessandro, candidata in Campania, lavora per la Cdu della Merkel. Di Maio sta costruendo le basi per un accordo con la Lega e io faccio un appello agli attivisti del 5S con i quali ho collaborato in questi anni: state attenti perché la promessa rivoluzione sta diventando una restaurazione conservatrice. D’altronde anche il candidato di Ascoli, Roberto Cataldi, viene da un’area democristiana. Non è stato scelto dagli attivisti piceni, perché?”.

Pier Paolo Flammini cosa intende fare per rendere la collettività più partecipe nel panorama socio-politico?
Per formazione professionale, avendo approfondito e gestito la gestione di forum partecipativi, credo che il mio impegno non possa derogare da questi principi. Per questo, come candidato, in caso di elezione il mio compito sarà quello di creare un Centro Piceno della Partecipazione, una rete che consentirà a cittadini, categorie, associazioni e comitati di essere in contatto permanente con il parlamentare del territorio e arrivare ad elaborare proposte di legge da depositare in Parlamento. Si tratta di approfondire le questioni, chiamare esperti, organizzare incontri. Il tutto va finanziato, altrimenti resta “lettera morta”. E questo andrà finanziato con parte dello stipendio da parlamentare, fino al 70%, in caso di elezione. Questo è il mio impegno per aiutare il recupero della partecipazione e del civismo politico al Piceno”.

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