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Angelo Bellobono è un pittore e allenatore di sci. Ha sempre vissuto a stretto contatto con l’ambiente montano, solcando le alture di mezzo mondo. “Dipingo per tornare a casa. La pittura è la mia mappa di sudore, vento, freddo, sole, salite e discese, è la costruzione del sentiero”, potrebbe essere questo il riassunto dell’opera di Bellobono, classe 1964, originario di Nettuno ma che, attualmente, lavora e vive a Roma.

Negli anni, il suo essere artista e sportivo professionista non potevano che fondersi: elemento fondamentale del suo modo di dipingere è la “corporeità”, il sentire un senso di appartenenza fisica ai luoghi, per lui condizione necessaria per leggere le sedimentazioni stratificate nel paesaggio e le sue memorie.

I soggetti da lui preferiti sono proprio quelli montani: dipinge atmosfere e storie sospese, che indagano il rapporto tra geologia, antropologia, identità culturale, confine e territorio. Il paesaggio reale è, così, continuamente messo in discussione e rivisitato mentalmente dall’artista: essendo già il paesaggio unione di natura e cultura che lo ha modellato, Bellobono aggiunge immaginazione e creatività, trasfigurazione artistica.

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Angelo Bellobono, Il progetto Linea Appennino 1201

Il progetto Linea Appennino 1201 lo ha portato a vagabondare sull’Appennino nell’estate 2018, dalla Calabria alla Liguria, raccogliendo terra da tutte le cime principali toccate, impiegata poi per realizzare pigmenti da usare nei suoi quadri, che portano le memorie di una terra bella ma fragile, in continua mutazione e fortemente segnata dalla presenza – e dalla memoria – dell’uomo. Questo viaggio, mentale e fisico al tempo stesso, lo ha portato a toccare anche le maggiori cime marchigiane ed abruzzesi, dal Monte Vettore nei Sibillini, al Gorzano nei Monti della Laga fino al Corno Grande nel massiccio montuoso del Gran Sasso, con i suoi 2.912 m cima più alta dell’Appennino.

Un percorso, insomma, di scoperta di sé e del territorio circostante, fatto di fatica e sudore, movimento, che modella il paesaggio e, contemporaneamente, l’uomo, mettendolo, nel silenzio più totale, a confronto con se stesso e con il freddo, con il vento che soffia e con la nebbia che scende. Ha scritto Angelo, nel libro che riassume l’esperienza compiuta, a proposito del Vettore, la cima più alta della catena dei Monti Sibillini: “Il Vettore è montagna di leggende, di demoni, di riti e stregonerie, ma nel salirlo la sola magia è il susseguirsi di pendii e creste appese sulla Piana di Castelluccio di Norcia, è il Redentore con la sua parete verticale. Umbria e Marche qui si abbracciano, una vetta di rocce dal sapore e colore quasi Himalayano, un campo base di un Everest staccatosi e volato via milioni di anni fa. Quassù ho sentito che il mondo si muove, di un moto impercettibile, che cambia continuamente il suo assetto e aspetto confondendo ogni certezza. Per la seconda volta su una vetta vedo un topo muschiato. Risceso alla base, mi stendo su una prateria battuta dal vento per stamparmi addosso la pittura che sarà. Metto al sicuro il sacchetto di questa sesta terra e prendo fiato per le tappe finali tosco tosco- emiliane e liguri, che dall’alto dialogano tra loro, ma poi ciascuna richiede la quota di sudore che le spetta”.

 

 

La sintesi di questo viaggio è stata la realizzazione di un grande quadro, chiamato Monte Appennino, che unisce fisicamente tutti i monti
della catena, poiché realizzato unendo le terre raccolte da tutte le cime maggiori, monte che non esiste ma che è riassunto di un sentimento
e di una memoria, che collega le montagne dell’Appennino e le vede come cerniera, punto di unione tra i due versanti dell’Italia e tra nord e sud, e non come confine o separazione, al centro di un grande lago, il Mare Mediterraneo, considerato da Angelo un “lago di montagna”, incastonato tra vette che fungono da cornice.

 

 

Io sono Futuro, il progetto nelle terre del sisma

Oltre alla ricerca artistica vera e propria, negli anni Bellobono ha fuso arte, sport, biosostenibilità ed economia circolare, nel caso di progetti quali Atla(s)now, realizzato con le comunità Amazigh dell’Alto Atlante marocchino, Before me and after my time, con i nativi americani di New York, i Ramapough Lenape e, nel nostro territorio, Io sono Futuro nelle aree appenniniche colpite dal sisma del 2016 tra Lazio e Marche, in special modo Arquata del Tronto, Amatrice, Accumoli.

Forte delle precedenti esperienze a contatto con comunità che vivono situazioni di forte disagio, l’artista ha deciso di intavolare un progetto con i giovani di questi luoghi, incoraggiandoli a restare. All’inizio, Angelo ha passato circa un mese nelle zone colpite dal terremoto, svolgendo laboratori d’arte nelle scuole e nelle zone provvisorie per giovani tra 11 e 22 anni. Sono stati realizzati, con la polvere delle macerie, 80 dipinti esposti presso la galleria romana Emmeotto; la loro vendita ha permesso di raccogliere circa 7000 euro di fondi, utilizzati a favore dei ragazzi del luogo e per finanziare altri laboratori didattici.

“L’Appennino è magico, raccoglie sapienze antiche, artigiani unici, paesaggi fiabeschi, è la colonna vertebrale del nostro paese e non può spezzarsi”, chiosa l’artista.

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