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Questa è la parte più bella di tutta la letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni“, scriveva Francis Scott Fitzgerald. Non tutti amano leggere, e non è sbagliato. Come non tutti sono portati per la musica, o la matematica e le scienze. Tuttavia, quello che mi è sempre sembrato un miracolo della letteratura, della prosa e della poesia, è la sua eterna attualità; gli scrittori di tutti i tempi ci hanno dimostrato che l’uomo è sempre uguale a se stesso, con gli stessi bisogni, le stesse passioni, le stesse angosce e paure. C’è un filo rosso, un senso di appartenenza che lega un uomo vissuto in Grecia millenni fa e un qualsiasi uomo oggi vivo.

Ecco, di seguito, una lista personale di 10 libri, romanzi o poetici, che, per qualche motivo, considero importanti, e credo che possano giovare alla formazione personale di ognuno, contribuendo a combattere l’inaridimento che caratterizza la nostra società. Del resto, un passaggio di un libro di cui si parlerà sotto, recita: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

Lettere a Lucilio di Seneca

Considera gli uomini singolarmente e nel loro insieme: tutti vivono con lo sguardo rivolto al domani. Mi chiedi che male c’è in questo? Un male immenso. Essi non vivono, ma sono sempre in attesa di vivere: rimandano tutto al futuro. Anche se noi volessimo prevedere tutto, la vita ci sorpasserebbe sempre. Infatti, mentre noi indugiamo nei nostri pensieri, essa continua a passare come cosa che non ci appartiene; essa termina l’ultimo giorno, ma si consuma giorno per giorno.

Perché leggere oggi le lettere di Seneca a Lucilio? In queste epistole, viene fuori un tormentato sentimento – che si fa universale – di un uomo in costante dialogo con sé e con l’altro, con il proprio tempo e la tradizione. Alla luce di ciò, specie nell’indeterminatezza (“liquidità” avrebbe detto Zygmunt Bauman, celebre sociologo e filosofo) che caratterizza il nostro momento storico, che fior fiore di accademici ha chiamato Postmodernità, Seneca invita l’uomo alla consapevolezza e alla cura, in una tensione morale mai terminata, che vuole il singolo costantemente proteso verso un’etica tutta interiore. Insomma, un piacevole invito, in uno stile diretto, incisivo, deciso, a ricercare continuamente, ad affinare la scienza del vivere – e anche quella del non vivere più – per giovare a se stessi, ai contemporanei, ai posteri.

Delitto e Castigo di Fedor Dostoevskij

Dove mai ho letto che un condannato a morte, un’ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi, – avendo intorno a sé dei precipizi, l’oceano, la tenebra eterna, un’eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d’anni, l’eternità –, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!… Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l’uomo!… Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco.

Un giovane russo, Raskòlnikov, abbandona gli studi ed uccide una vecchia usuraia, per dimostrare a se stesso di essere un uomo eccezionale e coraggioso, al di là del bene e del male e di ogni morale, e per liberare l’umanità da un essere inutile e malvagio.

Colpa, condanna ed espiazione: sono questi i capisaldi di un romanzo che trasforma il giallo di un delitto in un’analisi misteriosa dell’insondabilità e complessità dell’anima umana. Tutte le vicende particolari, infatti, si collocano su un piano superiore, universale, che vede l’umanità costantemente in bilico fra confini incerti di male e bene, giusto e ingiusto; anche la città in cui si svolge la vicenda, si fa via via teatro interiore e palcoscenico spirituale, perdendo i propri connotati fisici, conferendo all’uomo una suprema responsabilità: quella di diventare padrone delle proprie azioni e, in ultima analisi, del proprio destino. Ma serve una grande maturità interiore e disciplina, altrimenti, come ci insegna Raskòlnikov, la libertà può essere qualcosa di deleterio e massacrante.

Canne al vento di Grazia Deledda

“Dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così , come canne?”
— “Sí, — egli disse allora, — siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”
— “Sì, va bene: ma perché questa sorte?”
— “E il vento, perché? Dio solo lo sa”.

A scandire la vicenda è la luce lunare, che riverbera sul paesaggio, sono le voci delle donne che aspettano i mariti tornare dai campi, i cinguettii cadenzati degli uccelli, lo zirlare precoce dei grilli, il sospiro delle canne trasportate dal vento e la voce chiara del fiume; sono i soffi misteriosi che scaturiscono dalla terra, quando il crepuscolo sancisce il confine tra la vita ordinaria e quella notturna di fate, folletti e spiriti erranti. Siamo in una Sardegna calda e leggendaria, sfondo alla decadenza della famiglia Pintor, di cui sono rimaste solo eredi femmine, tre sorelle. Oltre alle presenze meravigliose, domina una religiosità intrisa d’animismo, di idolatria e superstizione nascoste sotto le parvenze del cattolicesimo, che condanna Lia, la quarta sorella, che ha lasciato il paese natale e si è sposata sul continente e ha avuto un figlio, ma è morta prematuramente. Il giovane Giacinto decide di tornare a trovare le zie, che stanno pian piano sfiorendo. Un’altra figura troneggia: quella del maggiordomo Efix, macchiatosi di una duplice colpa, che sta espiando rimanendo fedelmente al servizio delle Pintor. Ma l’arrivo di Giacinto in paese sconvolgerà gli atavici e precari equilibri della tradizione su cui tutto continuava a reggersi.

Il mestiere di vivere di Cesare Pavese

L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.

Il Mestiere di vivere accompagna Pavese come un diario intimo e personale fino a nove giorni prima della sua morte, e diventa il luogo a cui affidare pensieri sul mondo e sul proprio essere, ma soprattutto sui drammi che laceravano la sua esistenza.

Da questo tormento, esce fuori una meditazione sulla vita amara e disperata, ma anche violenta e ironica. Raramente serena. Testimoniando, tramite un percorso intellettuale di un’anima fatta a brandelli, come la letteratura possa diventare una difesa contro le offese e i dolori della vita.

Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche

“Io vi insegnerò cos’è il Superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri fino ad oggi hanno creato qualcosa che andava al di là di loro stessi: e voi invece volete essere la bassa marea di questa grande ondata e tornare ad esser bestie piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è la scimmia per l’uomo? Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa sarà quindi l’uomo per il Superuomo: un motivo di riso o di dolorosa vergogna”

Vangelo laico, percorso di formazione del profeta del Superuomo, o semplice romanzo per chi intende immergersi in una lettura più leggera, qui la provocazione diventa una sorta di messaggio oracolare. E gli attacchi non risparmiano niente: la mediocrità travestita da morale, la metafisica che inventa il mondo, l’ascetismo che soffoca la vita, l’erudizione che sostituisce la cultura.

Dopo lo sdoppiamento nella solitudine sui monti, dove all’uomo viene incontro la sua ora più buia, il grande meriggio, il filosofo invita l’uomo a non credere a falsi idoli, a rimanere fedele alla terra e al suo essere “umano” nella forma più elevata ed evoluta, facendo sì che la vita sappia trovare in sé il suo scopo e la volontà si affermi gioiosa, in una saggezza libera a abissalmente profonda.

Perché sì, è vero: l’uomo comune è un mostro. Un qualcosa che deve essere superato.

Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar

“Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada.”

Memorie di Adriano è il capolavoro della Yourcenar. Alla ricostruzione storica della figura di Adriano, imperatore romano ma anche grande uomo e intellettuale, che incarna la Romanità al culmine della sua potenza, si unisce l’universalità, il dar voce ai tormenti propri degli uomini di tutte le epoche, nell’accanita ricerca di un accordo tra intelligenza e fato, felicità e logica.

Inutile parlarne o scriverne, per comprenderne grandezza e attualità occorre leggerlo, sfogliare le pagine di quello che si presenta come romanzo epistolare ma che è, in realtà, un compendio sull’inquietudine umana. Che è eterna.

Non sono un intellettuale di Giuseppe Tucci

“Io mi auguro l’avvento di una schiera di ricercatori che ignorino il mondo, che non si domandino se quello che essi fanno sarà utile o no, che non si curino di sapere se la loro opera avrà il consenso degli altri, se la gente potrà in qualche modo servirsene.”

Difficile è immaginare una vita più avventurosa e dedita alla conoscenza di quella di Giuseppe Tucci, il più grande orientalista europeo del secolo scorso. Originario di Macerata, viaggia tra Oriente e Occidente, dirigendo scavi archeologici in Pakistan, Afghanistan e Iran e intessendo rapporti con i personaggi più illustri dello scorso secolo. Tucci è, purtroppo, una pietra miliare della cultura italiana troppo spesso dimenticata e che ha lasciato un vuoto – colpevolmente non colmato – nell’editoria nostrana.

In questo volume, un vero e proprio viaggio nell’anima dello scorso secolo, sono stati selezionati contenuti che toccano tutti i temi cari a Tucci: dalla politica alla letteratura, dalla filosofia all’antropologia, dall’esplorazione alla natura, con una visione che unisce oriente e occidente, Europa e Asia, in un rapporto di continuità che mira ad unificare la filosofia e la vita pratica di questi due continenti così diversi, ma per destino protagonisti di una storia millenaria fatta di reciproci contatti e relazioni.

La linea alba di Antonio Santori

Perché essere in questo luogo
è molto, e certo dire
dove siamo
è nostro compito
Oscurità e acque,
albe, ventre dell’inferno,
albero di prua, inseguimento.
E, vedi, il corpo,
il nostro corpo soltanto può dire
bianco, tellina, lontano, vento.
Blues, inverno, ombra
delle cose, aldilà.
Ascolta, bacio.
Pensaci,
è un privilegio dire
odore delle case, mano
sopra la pelle,la prima volta.
Dire infinito
nelle erbe, è accaduto,
è strano, sorellina, madre, stelle.
Dire
per sempre,
innevato, accanto,
spaventato.
Sono
esistito.
Per questo mentre
vivo tutto mi sembra
innominato.

La poesia di Antonio Santori, originario delle Marche ma nato a Montréal, si basa su due cardini: il contatto con l’Altro e la nominalizzazione, il potere magico ed evocativo della Parola.

Questo volume raccoglie, per la prima volta, in un solo luogo i suoi quattro poemi: Infinita, Albergo a ore, Saltata e La linea alba. Nell’idea che la vita sia un dialogo costante e un dono di cui essere felici e stupirsi continuamente, il presente viene reso epico, al pari del mito, che entra continuamente in contatto con la vita quotidiana, ponendo il lettore di fronte al grande mistero dell’essere. Costante è anche la tematica della ricerca di senso, del chiedersi perché ci siamo, in uno sfondo che si fa sempre meno oggettivo e sempre più simbolico. Sono pochi i poeti che hanno reso la modernità così ammantata di spirito e di aura poetica.

Antonio Santori muore prematuramente a Civitanova 13 anni fa.

Tutte le poesie di Giorgio Caproni

Conclusione quasi al limite della salita

” – Signore, deve tornare a valle.

Lei cerca davanti a sé

ciò che ha lasciato alle spalle.”

L’opera omnia di Caproni permette di cogliere nella sua interezza una delle voci poetiche più importanti del Novecento. Ciò che di Caproni è sconvolgente è la naturalezza con cui i suoi messaggi passano, senza cambiar tono poetico, spaziando dal quotidiano all’astratto, da tono alto a colloquiale, dal domestico ai più grandi temi metafisici, come l’esistenza di Dio.

I temi affrontati sono diversi, spiccano però il viaggio e la terra, priva di uomini, abbandonata al suo splendore. Il poeta ben esprime il continuo oscillare tra fantasia e realtà, tra certezza e possibilità e ci fa comprendere che anche l’assoluto, se possibile, è carico di ambiguità.

Operette Morali di Giacomo Leopardi

Ma il nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande; la qual cosa è richiesta massime alla tua virtù, e di quelli che ti somigliano. (Il Parini ovvero della gloria)

Questo libro è differente dagli altri. Si tratta di uno scritto “impegnato”, filosofico, difficile, e lo è a partire dal modo in cui è scritto: lessico aulico, arcaico, periodi a volte lunghi e complicati, a volte corti ed epigrammatici.

Contiene, però, il riassunto quasi completo del modo di vedere la vita di Giacomo Leopardi, un conterraneo che non dovremmo mai smettere di celebrare. Le Operette Morali sono 24 componimenti in prosa, di cui 17 in forma di dialogo; viene inscenato l’irriducibile contrasto fra mondo intimo e mondo esterno, e il grido di dolore del singolo si fa man mano universale, essendo tutti gli uomini accomunati dalla medesima condizione. Il coraggio di Leopardi è supremo: in una meticolosa analisi filosofica, mira a liberare l’uomo da tutte le illusioni di cui si ammanta, portandolo all’inesorabile scoperta della verità. Anche se dolorosa.

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