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Coronavirus e montagna, gli appassionati di escursionismo e alpinismo, così come gli accompagnatori di media montagna, le guide alpine e le guide escursionistiche si stanno chiedendo che ne sarà delle loro vacanze, della loro passione, ma anche del loro lavoro nei prossimi mesi.

Il vicepresidente del CAI Antonio Montani ha dichiarato che il Club Alpino Italiano si impegnerà in prima linea per permettere la riapertura dei rifugi, anche se la loro sorte dipenderà ovviamente dalla direzione delle direttive nazionali durante la fase 2.

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Montagna e rifugi ai tempi del Coronavirus

Qualche giorno fa, su Repubblica, è uscito un articolo titolato L’estate in montagna senza rifugi, nel quale venivano descritte alcune possibili alternative (nottate in tenda? gite in giornata?) per ovviare alla molto probabile chiusura dei rifugi nella prossima estate. Nel giro di poco tempo, il vicepresidente del CAI e responsabile dei rifugi Antonio Montani ha specificato che “pur essendo vero che possono esserci difficoltà a riaprire i rifugi, soprattutto quelli di alta quota, deve essere chiaro che il Club Alpino Italiano si è attivato e sta lavorando per scongiurare questa ipotesi”.

“Useremo tutte le accortezze ma in modo da poter tornare a frequentare la montagna. Un tema attualissimo è quello dei rifugi: si tratterà di andare a riscoprire gradualmente quello che è possibile fare, con intelligenza e rispetto tra le persone”, ha dichiarato Vincenzo Torti, presidente del Club Alpino. Nei rifugi infatti, specie quelli alpini d’alta quota, si dorme spesso in camerate comuni, così come sono comuni i bagni e le grandi tavolate dove consumare i pasti, dove ci si trova spesso schiena a schiena con sconosciuti. Quindi, a prima vista, sembrerebbe impossibile, almeno per questa estate, che i rifugi possano tornare a funzionare come prima. Insomma, “occorreranno molte più accortezze, ma la montagna deve tornare a vivere, e lo deve fare anche attraverso il turismo”, ha concluso Torti.

Le azioni del CAI

Intanto, il CAI ha stanziato mezzo milione di euro, donando all’Anpas 51 automobili per le cure a domicilio, distribuendole per tutta Italia, specie nelle aree interne e montane.

Le auto donate sono delle Fiat Panda, vetture che riescono a muoversi anche su territori impervi: l’assistenza domiciliare, infatti, sarà cruciale nella gestione della fase 2. 

 

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