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Dopo l’applauso dell’aula al sacrificio dell’Uomo di Stato Sergio Mattarella, che accetta di rimanere al Quirinale, è iniziata la resa dei conti. Quella vera. Non solo nella implosa coalizione di centrodestra, ma anche in quella sgangherata, forse mai davvero decollata, di centrosinistra.

I conti si faranno anche all’interno delle singole forze politiche, a destra a sinistra e al centro. Si faranno fra anime che erano già contrapposte o che si sono all’improvviso scoperte tali. All’interno di coalizioni e forze politiche tenute assieme dalla voglia-necessità di arrivare a fine legislatura.

Saranno tutti confronti impietosi e senza esclusione di colpi, già si sa: perchè questa ri-elezione del Presidente della Repubblica uscente ha lasciato sul terreno non pochi cadaveri. E altri ne lascerà.

E allora, a “quirinarie” archiviate, andiamo a vedere chi, in questo film che gli italiani hanno pesantemente fischiato, porta a casa il Razzie Award di peggior attore protagonista.

Andiamo a vedere, cioè, chi nella scalata al Quirinale ha perso, e cerchiamo di capire perchè è successo.

Quirinale, Mario Draghi non ce l’ha fatta

Saggezza popolare insegna che chi entra papa nel conclave, ne esce cardinale. Perciò non c’è dubbio, il perdente più perdente di tutti è proprio lui: il migliore fra i migliori.

Questo probabilmente è successo perchè Mario Draghi ha collezionato una tale serie di errori, nella strada che avrebbe dovuto portarlo al Colle, che nemmeno un politico alle prime armi avrebbe potuto fare di peggio. A sua giustificazione va sottolineata con determinazione una cosa: Draghi è un tecnico, non un politico. Dunque pensa, parla e agisce da tecnico, non da politico.

Il primo errore

Il primo errore lo ha commesso quando, con il tocco assolutamente felpato che lo contraddistingue in pubblico (solo in pubblico, però, perchè nelle segrete stanze al netto della educazione che mai gli difetta ce lo raccontano ben diverso), si è auto-candidato alla successione di Mattarella. Perchè oramai lo hanno capito anche le pietre che quel definirsi “un nonno al servizio delle istituzioni” altro non era se non una auto-candidatura per il Quirinale. Mai vista una roba del genere nella storia della Repubblica Italiana. Eccessiva autostima? Arroganza? Presunzione? Delirio di onnipotenza? Noi pratichiamo la sospensione del giudizio, e lasciamo che sia la storia a rispondere.

Il secondo errore

Il secondo è una conseguenza del primo. Qualcuno gli ha fatto notare che “aveva detto troppo” e allora lui ha deciso di ritirarsi strategicamente in secondo piano. Come ogni bravo candidato al Quirinale dovrebbe fare, aggiungiamo: v. l’altro, di candidato, Pier Ferdinando Casini, sparito dai radar per mesi. Ma ha esagerato anche stavolta, e quando una notte ha inasprito le restrizioni per gli italiani e ha imposto obblighi vaccinali se ne è uscito alla chetichella dal palazzo. Mandando a rispondere alle domande dei giornalisti Brunetta, Speranza e Bianchi. Insomma: lui non ci ha messo la faccia, per dirla in termini spiccioli, lasciando che ce la mettessero tre dei suoi ministri. Non si fa, non è così che funziona, in politica.

Il terzo errore

Il terzo errore è una conseguenza del primo e del secondo. Viste le critiche mediatiche e social alla sua fuga dall’uscita secondaria del palazzo, decide di convocare una conferenza stampa riparatrice. Certo, fa tenerezza un premier che con il tocco felpato di cui sopra ammette di aver sbagliato e chiede scusa. Ma nessun giornalista può supinamente accettare che un Presidente del Consiglio, nella sua veste pubblica di servitore dello Stato, delle istituzioni e del popolo italiano, imponga un “rispondo solo a queste domande e a queste altre no”. Correttamente un collega, coraggioso, gliel’ha fatto educatamente notare. Perchè una cosa è essere il capo supremo della BCE, altra cosa è essere il Presidente del Consiglio in Italia e in ogni democrazia che si rispetti.

Il quarto errore

Il quarto errore è davvero inspiegabile. Un Presidente del Consiglio non dovrebbe fare “consultazioni” con i leader dei partiti durante le votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica. Elezioni nelle quali si è già auto-candidato. Insomma: non dovrebbe fare campagna elettorale per se stesso. Con centinaia di giornalisti sguinzagliati dalle varie testate nazionali e internazionali per le vie della Capitale, queste mosse non potevano certo passare inosservate.

Il quinto errore

Il quinto errore è spalmato lungo tutti questi 11 mesi di premierato. Mario Draghi è stato chiamato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per condurre la nave Italia in porto nel bel mezzo di una tempesta perfetta. Era lui l’uomo giusto, il tecnico nel quale gli italiani, tutti, avevano riposto la loro fiducia e le loro speranze. Lui ha deciso e agito come le sue esperienze passate gli hanno insegnato a fare, purtroppo non tenendo nella dovuta considerazione il ruolo e i compiti delle due Camere del Parlamento. I deputati e i senatori, che rappresentanto il popolo italiano perchè da questo sono stati votati, mal hanno digerito il suo comportamento, il suo “decisionismo” senza confronto alcuno. E alla fine gli hanno presentato il conto. Salato.

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