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Le lunghe notti di Anna Alrutz” è un romanzo ben scritto, saldamente poggiato su personaggi riusciti, emozioni compiute pur nella loro precarietà. Ilva Fabiani è l’autrice ascolana che il prossimo 12 settembre presenterà ad Ascoli il suo romanzo d’esordio. Anna Alrutz è una braune Schwester, una delle infermiere volute da Hitler e coinvolte in prima persona nel processo di purificazione della razza. Anna sterilizza donne colpevoli di non essere “troppo” ariane, o troppo perfette, dal punto di vista fisico o mentale. Una donna che combatte con le sue ossessioni per tutta la vita. Raro leggere storie tanto convincenti in un’epoca effimera e leggera come questa. Un onore che a scriverle, queste storie, sia chi è nato qui.

Ilva, la prima domanda è d’obbligo: come nasce la storia di Anna Alrutz e da cosa o chi è stata ispirata?

“Lavoro come docente di lingua italiana nello stesso palazzo che un tempo ospitava la clinica ginecologica di cui si parla nel mio romanzo. All’inizio non sapevo nulla delle pratiche di sterilizzazione forzata e così ho iniziato a fare ricerche. Ben presto però, le date e i numeri che leggevo sono diventati nella mia mente una storia che ho scritto nell’arco di circa tre anni. Anna Alrutz è un personaggio fittizio, le circostanze che hanno ispirato la storia sono purtroppo vere“.

Questo è il tuo primo romanzo. Da dove viene la tua scrittura?

“Mi è sempre piaciuto scrivere, ma non ho mai osato pensare che quello che scrivevo potesse essere pubblicabile. In genere non faccio mai leggere le mie cose e la storia di Anna Alrutz l’ho tenuta segreta in un angolino del mio computer quasi come un esercizio di stile. Poi, ho deciso di autopubblicarla su Ilmiolibro.it e da lì è nata la possibilità di partecipare a un concorso, Il mio esordio. Duemila opere in gara per tre premi: ho pensato, ecco, non ce la farò mai. E invece, il giorno di Natale dell’anno scorso, ho ricevuto la bella notizia di aver vinto tutti e tre i premi: Premio scuola Holden, Premio Feltrinelli e premio per il miglior incipit. La vita sa essere sorprendente, a volte”.

Agli scrittori si chiede sempre: quanto c’è di autobiografico in Anna Alrutz?

“Per certi aspetti Anna è una figura antitetica rispetto a me: l’ho immaginata bionda, statuaria, atletica ed estremamente ordinata…cosa quest’ultima che non si può dire di me! Però per certi versi Anna esprime anche una sorta di “deriva” del mio carattere: una certa inflessibilità e la tendenza a radicalizzare le opinioni mie e altrui. Una tendenza che ho imparato a correggere negli anni, ma che non ho sconfitto del tutto. Un lato ombra con il quale ogni volta scendere a patti e che Anna alla fine del romanzo riesce a superare nel momento in cui si riconcilia con il fratello Willi”.

I personaggi femminili del romanzo mi sembrano particolarmente compiuti. Un mondo femminile fragile, ossessivo, appassionato. Non era semplice acconsentire alle emozioni in un’ambientazione storica così complessa, eppure ci sei riuscita…

” Le figure femminili nel mio romanzo sono diverse coniugazioni del confronto con la paura. Ognuna di loro affronta quella paura esistenziale tipica dei regimi dittatoriali ciascuna a suo modo: con coraggio e astuzia (Frida), con dignità (Elise), con ingenuità (Wilhelmine) e infine con la fede politica prima e il disincanto poi (Anna). L’unico modo che ho trovato per riuscire a scavare nell’animo dei personaggi e farli muovere secondo schemi coerenti è stato riconoscere che la paura è un sentimento universale, perenne, presente allo stesso modo allora e oggi. Il nostro comportamento nella società è un modo di rispondere a questa paura”.

Cosa ti ha portato in Germania?

“All’inizio una grande passione per la lingua e la filosofia tedesche. Poi una borsa di studio Erasmus e il sentirsi a proprio agio in un paese in fondo sconosciuto. Al termine di un ulteriore percorso di formazione accademica e personale è arrivata anche la cattedra di lingua italiana e quindi la decisione di restare. Ho due case, due lingue, due culture nelle quali mi trovo a mio agio: cerco di prendere il meglio da ciascuna”.

Cosa invece ti rimane di Ascoli?

“Il colore del travertino nel pomeriggio, quando i monumenti della città si stagliano sul cielo azzurro; il profumo magico dell’Anisetta; le mie adorate amiche che mi fanno sentire sempre così benvenuta nonostante viva in Germania da decenni. Ecco, il calore di un abbraccio che nel tempo non sbiadisce, anzi, si arricchisce di nuove storie”.

Ti aspettiamo alla presentazione in libreria Rinascita: che aspettative – ammesso che tu le abbia – hai dell’accoglienza degli ascolani?

“Finora l’accoglienza al mio libro è stata esaltante. La cosa che mi auguro di più è che a partecipare alla presentazione ci sia un pubblico misto: esperti, persone interessate a quel periodo storico, ma anche amici, gente di passaggio di tutte le età. Spero di entrare in dialogo con chi ha letto il libro e di suscitare la curiosità di chi non lo ha ancora fatto. In fondo, come diceva Pavese, il merito della letteratura è quello di farci parlare”.

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