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Un lungo percorso quello del progetto di riconversione Carbon. Ventisette ettari di ferro, macerie, vetri e suolo avvelenato dall’amianto, poco distanti dal centro città: – forse – finalmente è stata messa la parola fine sul lungo percorso burocratico per riconvertire e bonificare l’area dell’ex stabilimento.

La giunta comunale, all’esito di un percorso iniziato nel 2004, ha completato il lungo iter burocratico che permetterà di dare inizio a un progetto di riconversione che prevede la bonifica di amianto del suolo e del sottosuolo e la messa in sicurezza permanente, che  restituirà quella vastissima area ai cittadini di Ascoli Piceno.

Riqualificazione Carbon: iter e step principali

Tutto parte nel 2004, con  un primo protocollo firmato tra comune e sindacati, finalizzato alla riconversione industriale per poi entrare più nello specifico nel 2007 dove si comincia a parlare anche di riconversione ambientale.

Nel 2010 la parte decisiva, con la costituzione della società Restart, tutta ascolana, con gli imprenditori Bucciarelli, Faraotti e Gaspari, che hanno acquistato tutta l’area per poi presetare nel 2011 il primo progetto di bonifica, approvato dal comune.

Da lì, un lavoro che è andato di pari passo con quello dell’amministrazione comunale, che nel 2014 inserisce e approva il progetto nel nuovo piano regolatore in quanto coerente con assetto ambientale e strategico della città e che ha portato all’approvazione nel piano di recupero urbano da parte della giunta comunale.

In mezzo, in questi anni, un lavoro enorme, tra conferenze di servizi con gli enti e i privati coinvolti, analisi dei rischi, l’inizio dello smaltimento delle coperture e manufatti contenenti amianto, i confronti con l’Istituto Superiore della Sanità e molto altro ancora.

Il progetto Restart: cosa prevede la proposta di riqualificazione urbana

Un progetto, quello di Restart che nasce con la voglia di aggregarsi – spiegano i promotori. Il punto di forza è quello di poter restituire alla città un’area sanificata, liberata dagli 850.000 metri cubi di volumi inquinati che esistono attualmente.

Sorgerà così un’area adibita a parco, che si affaccia sul fiume e un’area destinata a nuove costruzioni. Il parco urbano, in particolare dovrebbe estendersi per ben quattordici ettari, diventando così uno dei più estesi delle Marche, con la speranza di cancellare la profonda ferita che decenni di inquinamento hanno fatto al suolo di questa città.

Per realizzare tutto ciò s’inizia con la bonifica di suolo e sottosuolo, che durerà circa 52 mesi dall’avvio del cantiere, con un costo di 35.342.438,26 euro. Da qui, la ricostruzione che diventerà anche un luogo di lavoro anche per gli ex dipendenti dello stabilimento dismesso, che dovrebbero essere ricollocati già nell’apertura dei primi cantieri.

C’è da dire che da questo progetto porta alla città di Ascoli Piceno una nuova area, estesa come fosse un nuovo quartiere, il quale si auspica sarà costruito secondo i criteri di sostenibilità ambientale e lontano dalle speculazioni edilizie e dall’inutile consumo di suolo.

E forse a breve potremmo non vedere più quelle ciminiere grigie che svettano sinistre tra le cento torri, che per anni hanno violentato ambiente, salute e paesaggio, a vantaggio, si spera, di una rigenerazione urbana volta al rispetto del territorio nella sua interezza.

Del resto le premesse di una simile iniziativa fanno ben sperare, e non può non venire in mente un appello appassionato scritto da Settis in “Paesaggio, Costituzione e cemento” dove invitava noi, cittadini, ad essere convinti che è possibile, anzi necessario e positivo riconvertire la mano d’opera e l’attività delle imprese di settore reindirizzandole su filiere più lungimiranti, investimenti più produttivi come, tra l’altro, il riuso o in qualche caso l’abbattimento delle architetture dismesse e la messa in sicurezza di un territorio come il nostro, afflitto da sismicità, frane ed inquinamento e cento altri problemi che minacciano ciascuno di noi ed il benessere della nostra società.

Dobbiamo essere certi che gli incentivi pubblici vanno indirizzati su investimenti di tal fatta e non sulla proliferazione dissennata del mattone, non sulle nuove invasioni dei territori con la scusa della green economy.

E dobbiamo sapere che tutto ciò è possibile già domani.   

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