Milano, dicembre 2025. Una vicenda tanto singolare quanto inquietante ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità giudiziarie: un paziente immunosoppresso ricoverato all’ospedale San Raffaele racconta di essere stato trattato in modo superficiale e poco professionale, descrivendo episodi che hanno sollevato dubbi seri sulla qualità delle cure e sulla gestione del reparto di Medicina ad alta intensità. Tra questi, uno in particolare ha fatto il giro dei media: secondo il racconto, un infermiere avrebbe spezzato una pastiglia di tachipirina direttamente sul suo petto, senza guanti e in modo del tutto inusuale.
La testimonianza, pubblicata da varie testate italiane, descrive un quadro fatto di disservizi, errori di somministrazione dei farmaci e momenti di confusione organizzativa, e ha portato la Procura di Milano ad aprire un’indagine conoscitiva per accertare cosa sia realmente accaduto nel reparto tra il 7 e l’11 dicembre. Al momento non ci sono indagati né ipotesi di reato formalizzate nei confronti del personale.
“Tre giorni di paura” nel reparto di Medicina ad alta intensità
Il paziente, un uomo di 45 anni ricoverato per mononucleosi con condizioni di immunosoppressione, ha descritto i suoi giorni in ospedale come un susseguirsi di episodi in cui la cura standard sembra essere stata compromessa da una situazione organizzativa caotica. In un passaggio della sua testimonianza, l’uomo racconta: “È arrivato un infermiere con una pastiglia di tachipirina tra le mani nude, senza guanti. Me l’ha messa sul petto e l’ha spezzata in due”. Questo gesto, di per sé insolito, ha allarmato il paziente soprattutto perché si trovava in una condizione di fragilità immunitaria.
Non si tratterebbe dell’unico episodio narrato. Secondo quanto riferito, ci sarebbero stati scambi di farmaci, dosi somministrate in modo non registrato, errori nella documentazione clinica e persino strumenti lasciati in funzione senza supervisione. L’uomo ha raccontato di aver spesso assistito a scene in cui infermieri sembravano disorientati o non adeguatamente formati per gestire situazioni complesse in un reparto critico.
La presenza di infermieri impiegati tramite una cooperativa esterna è stata indicata da alcune testimonianze come un possibile elemento di difficoltà organizzativa. Diverse e-mail interne tra medici e personale sanitario parlano di infermieri non pienamente preparati, con carenze formative e di esperienza che potrebbero aver contribuito a creare disservizi.
L’inchiesta della Procura di Milano e le verifiche in corso
Dopo la diffusione delle testimonianze e le prime verifiche, la Procura di Milano ha deciso di aprire un fascicolo conoscitivo finalizzato a ricostruire la dinamica degli eventi nel reparto di Medicina ad alta intensità dell’ospedale San Raffaele. L’obiettivo è capire se ci siano state violazioni delle procedure sanitarie o delle norme sulla tutela della salute dei pazienti, nonché valutare la gestione complessiva del reparto in un periodo critico.
È importante sottolineare che l’inchiesta non ha ancora prodotto indagati o contestazioni ufficiali, ma rappresenta un passo formale per approfondire quanto accaduto e comprendere se siano necessarie misure correttive o sanzionatorie.
Un caso che solleva interrogativi sul sistema sanitario
Il caso della tachipirina spezzata sul petto non è solo un episodio isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di preoccupazioni espresse da alcuni pazienti e personale sanitario circa la qualità dell’assistenza e la gestione delle risorse umane in reparti critici, soprattutto in un periodo caratterizzato da pressioni stagionali sul sistema sanitario nazionale.
La vicenda evidenzia come aspetti di professionalità, formazione e organizzazione interna siano fondamentali non solo per la cura delle malattie, ma anche per garantire fiducia e sicurezza nei confronti dei pazienti, in particolare quelli con condizioni di salute vulnerabili.
In attesa degli sviluppi dell’inchiesta, molti osservatori sottolineano l’importanza di un equilibrio tra esigenze di efficienza gestionale e standard clinici rigorosi, affinché errori o disservizi non compromettano la qualità delle cure e la dignità delle persone ricoverate.









