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Qui si parla di travestimenti dell’anima. Qui si scrive di tradimenti. Qui, insomma, si raccontano storie della vita. “C’era una volta il deserto“, edito da Lìbrati, è l’esordio letterario di Luca Capponi, giornalista ascolano, e Tuco Ramirez,  bandito “gran figlio di buona donna”. Un romanzo scritto a quattro mani, dominato dal tema del doppio. La rabbia, l’amore, la solitudine di Luca sono i tradimenti, la furbizia, la follia di Tuco. Sulle pagine scorre la vita, tra le righe si è compagnia di una nostalgia e una malinconia che fanno parte anche di chi legge. “In questo rutilare di giorni mi ritrovo qui. Sperso. Spaurito. Intimidito. Circondato da minuti che non sono miei, da parole che non conosco, da gesti che non farei. E capisco di essere solo un attore sul palcoscenico sbagliato, una maschera indossata il giorno dopo carnevale, un assalto fallito, la giravolta fatale su una batteria di cristalli. Inadeguato sempre, ma buono per tutte le occasioni. Quelle perse”. Questo è “C’era una volta il deserto”.

Luca, cominciamo dalla domanda obbligatoria: quando, dove e come hai conosciuto Tuco Ramirez?

“Io e Tuco ci siamo conosciuti un decennio fa, durante il mio viaggio in Almeria. Ero spossato dal sole e mi stavo ritemprando in un saloon vuoto. Ho sentito un rumore di vetri rotti e poi è apparso lui, uno sgangherato cowboy pazzo con la corda al collo. Da quanto ne capii, era reduce da una rapina andata male. Ci siamo presi a pistolettate per un po’, una mezzora buona, poi abbiamo scolato insieme una bottiglia di buon rum: con queste premesse non potevamo che diventare amici”.

Cos’è effettivamente il deserto?

Luca: per me il deserto ha una valenza metaforica, atta a rappresentare i vuoti della contemporaneità ma pure l’immensità della vita con le sue trappole e le sue bellezze. Il deserto è una distesa senza punti di riferimento in cui è difficile orientarsi, un mondo che ci riempie di parole e ci tiene costantemente in contatto virtuale ma, in maniera subdola, non fa altro che aumentare il senso di solitudine e disagio. Il deserto è però anche luogo di oasi, divinità misteriose, tesori…

Tuco: il deserto è semplicemente casa mia, luogo che mi accoglie e mi nasconde durante le fughe. Ci vivo da una vita. Una volta sono stato costretto pure ad attraversarlo senza acqua, cavallo né cappello. La colpa era di quel maledetto del Biondo. Ma questa è un’altra storia.

“Da sempre, per sempre, condannato a tenere la penna in mano. Solo lei. Come una zavorra. Che mi intrappola dentro uno scrigno di parole”. Parliamo di questo: cosa rappresenta per Luca la scrittura? Trappola o catarsi?

“La scrittura mi dà una scossa unica ed irripetibile con qualsiasi altro mezzo. Mi aiuta a restare vivo. Forse nella maniera più potente possibile. Come racconto nei versi che hai citato, spesso però si rivela arma a doppio taglio, benefica quanto altera e pericolosa. Va trattata con cura, corteggiata come una dea, rispettata, e spesso ciò neanche basta a tenerla buona, perché può regalarti gioia estrema ma anche sofferenza e delusione”.

Solitudine, rabbia, perdita.. ma anche amore.. frammenti di scrittura densi di emozioni, che tradiscono un senso molto più profondo di quello apparente. Pare che la vita sia soprattutto questo: un’immersione nel dolore, nella realtà…

Dolore, perdita, solitudine sono alcuni aspetti della vita, tra i peggiori che proviamo. Scriverne rappresenta per me un modo di esorcizzarli, di combatterli, di scavare a fondo per conoscere meglio “il nemico” che rappresentano e non farmi fregare di nuovo. Tanto per fare un esempio, è lo stesso processo che usa il pugile quando studia in tutto e per tutto le mosse dell’avversario prima del combattimento: cerca di entrarci in sintonia solo perché vuole abbatterlo. Magari la mia è una illusione, ma per andare avanti senza perdermi nel gorgo non conosco altro modo che questo.

Il giornalismo e il deserto, come e dove si incontrano?

Forse proprio in quel saloon vuoto di cui ti parlavo prima, dove il timido giornalista ha incontrato lo scapestrato bandito. Ovviamente tutto è successo per caso. D’altronde le cose migliori accadono quasi sempre così, non è vero?