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Una storia vera, che è triste e amara al tempo stesso; c’è l’abbandono e la separazione, poi l’inevitabile stimolo alla riflessione e alla discussione sulla vita che non si stanca di sperare anche se si continua a sbagliare. Senza verdetti, i ricordi di Antonella Algia Flati si lasciano scrivere in forma di conversazione nella prima parte duettata con Lucilio Santoni, poi come un flusso di coscienza confidato a Mirella Fanunza; e le ricognizioni raccontano il Sapore aspro d’amore. Il libro si presenta diviso in due parti complementari e indipendenti, dove la conversazione approfondisce il racconto e le vicende chiarificano le domande. “Dal gorgo del destino cieco si può uscire. Anche una vita fatta di abbandoni, di ingiustizie subite, di scelte funeste può assumersi la responsabilità di cambiare rotta, di uscire dalla condanna della ripetizione dell’esistere”, introduce Santoni, mentre la Fanunza svela “Nessuno è riuscito a spezzarmi. Sono stata abbandonata e maltrattata, ho sofferto, ho fatto anch’io i miei errori e li ho pagati tutti. Ma ora sono qui, e il mio riscatto migliore è quello di poter essere di aiuto a qualcuno”.

La storia è una lente d’ingrandimento su un passato e un luogo non troppo lontani. Come e perché nasce la decisione di raccontare Algia? Lucilio Santoni. Ho tentato di raccontare la nostalgia. Ovviamente non quella deteriore che lascia fermi in una vita senza senso, bensì la nostalgia vicina alla poesia, alimento e anima della poesia.

 

Il libro si divide in due sezione, la prima curata da un poeta e l’altra da una scrittrice di narrativa rosa; il lettore si trova di fronte ad una doppia proposta di esposizione: rivelatrice e filosofica prima, intimista e discorsa poi. Qual è la loro funzione nella complessiva struttura del libro? Ovvero, quale potrebbe essere il doppio approccio del lettore? Mirella Fanunza. Premetto che mi dissocio un po’ dalla scelta editoriale della casa editrice di postare prima l’intervista ad Antonella e poi il romanzo. Credo che la miglior lettura si debba fare al contrario. Il lettore prima dovrebbe leggere il romanzo e poi andare a cercare delle risposte nell’intervista di Lucilio Santoni. Credo sia fondamentale ascoltare la protagonista di questo libro, dopo che Antonella ha messo a nudo un bel pezzo della sua intricata e difficile vita. Le due parti del libro sono diverse tra loro ma complementari, assolutamente indissolubili e necessarie.

Una storia personale che racconta di affidamenti, rifiuti, droga… Dov’è il confine tra il progetto editoriale e il racconto di una vita del tessuto sociale? Mirella Fanunza. La vita di Antonella sembra un vero e proprio romanzo nato dalla fervida e crudele fantasia di una scrittrice. Sembra, ma non è così. La storia è assolutamente vera ed include tante di quelle tematiche, da riuscire a coinvolgere più tipi di lettori. Il confine sta proprio qui, tra gli incubi di Antonella e la sua realtà, raccontata con dolore. Trovo sia giusto che la gente sappia e conosca tante sfaccettature della vita di una ragazza che passa la sua giovinezza tra Tribunali, i vari collegi e le famiglie affidatarie. Il libro si legge bene, le vicende di Antonella appassionano e nello stesso tempo aprono un varco a vari temi sociali. Perfetto connubio per la pubblicazione di un libro!

Infine la solitudine e l’amore: la paura del vuoto d’amore. La ricerca incondizionata dell’amore, sentimento che redime ogni storia amara, può assolvere le colpe, le mancanze e le fragilità? Lucilio Santoni. Tutto ciò che si fa per amore è al di là del bene e del male, diceva Nietzsche. L’amore è la condizione di vita più vicina alla psicosi, diceva Jung. Insomma, l’amore è un mistero, forse il più grande, nella vita dell’uomo. Non bisogna mai smettere di indagarlo, non bisogna mai smettere di scrivere lettere d’amore.