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Licio mi espone la sua visione delle cose, al tavolino del bar. Ha idee non condivisibili e opinioni indecenti. Le sue convinzioni sono riprovevoli e, ovviamente, è pieno di preconcetti. In una parola, lo detesto.

Ma non va bene.

Per cui cerco di salvarlo agli occhi del mio giudizio, inventandomi una serie di attenuanti, compreso una infanzia infelice, trascorsa tra una madre distratta e un padre debole o magari viceversa. Niente, non funziona.

Non mi resta che Libet (*).

Il quale mise un tizio davanti ad un pulsante, dopo avergli piazzato una serie di elettrodi sul cranio per registrargli l’attività cerebrale. Il tizio doveva indicare il momento esatto nel quale avvertiva il desiderio di premere il pulsante. E lì venne fuori una cosa strana: un mezzo secondo prima che il tizio avvertisse la volontà di premere il pulsante, gli elettrodi registravano che i neuroni si erano già attivati.

Immagino che non sia facile cogliere a pieno il significato di questa scoperta, per ci concediamo qualche minuto per pensarci su, intanto che mando la pubblicità.

Fumetto dell’esperimento di Libet creato da Andy J. Wills

Bene, eccomi di nuovo.

Cioè, è come dire che il cervello decide in maniera autonoma di fare qualcosa e poi, semplicemente, ci comunica questa sua decisione; e questa comunicazione a cose fatte noi la percepiamo come se la decisione fosse stata nostra. Non vi pare intrigante?

Per la verità, che tra quello che noi chiamiamo ‘Io’ e il nostro cervello ci sia una distinzione, l’abbiamo sempre sospettato. E il linguaggio, come sempre, è rivelatore. Cosa vuol dire, per esempio, ‘mi è venuta un’idea’? Venuta da chi? Da dove? Perché? Ma non solo.

Io attraverso la strada mandando messaggi dal cellulare e, a un tratto, mi blocco perché nel mio campo visivo compare l’ombra di una macchina. Che sia una macchina lo realizzo dopo essermi fermato, la qual cosa avrebbe implicato un riconoscimento e una riflessione. Invece, succede tutto in un attimo: la mia mente ha già realizzato la situazione e fatto la scelta giusta, qualche frazione di secondo prima che io decidessi di farlo. Chi glielo ha ordinato?

Ora inizio a preoccuparmi. Se le cose stanno così, se è il mio cervello a decidere i miei pensieri, che significano più libero arbitrio, giudizio, senso morale, etica?

E chi potrei più condannare? Nessuno, dato che il poveretto è solo stato avvisato della sua intenzione di fare una brutta cosa.

Certo, sapere questo aiuta ad essere molto tolleranti, perché saremmo tutti incolpevoli. E, non ci crederete, sta già succedendo che qualcuno la fa franca avendo scelto, come perito di parte, un bravo neurobiologo.

Però, non credo che possa funzionare.

Per cui, Licio, abbi pazienza: le ho proprio tentate tutte, eppure continuo a detestarti.

Ma, in fondo, non è colpa mia: è il mio cervello che ha deciso così.

E, credimi… se lo conosco, sa bene quello che fa.

(*) Benjamin Libet (1916 – 2007), neurofisiologo e psicologo statunitense. Un testo: Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza.

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