La polmonite interstiziale non somiglia alle classiche infezioni respiratorie che si risolvono con un ciclo di antibiotico: è più silenziosa, persistente e – soprattutto – non prevede un farmaco unico capace di eliminarla. Rientra nel gruppo delle malattie interstiziali polmonari, condizioni che colpiscono i tessuti intorno agli alveoli provocando infiammazione e, nel tempo, cicatrizzazione. Questo processo di “indurimento” del polmone viene definito fibrosi polmonare e rende progressivamente più difficile respirare.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la prevalenza delle malattie interstiziali è in crescita, anche grazie a diagnosi più frequenti rispetto al passato. Tuttavia resta un quadro clinico complesso, spesso confuso con asma, bronchiti croniche o postumi respiratori, con il rischio di ritardare l’intervento medico.
Come riconoscere la polmonite interstiziale: sintomi che non vanno sottovalutati
Segnali precoci e progressione della malattia
I sintomi iniziali possono essere ingannevoli perché simili a stanchezza generica o problemi respiratori comuni. I più frequenti includono:
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affanno che aumenta gradualmente, soprattutto sotto sforzo
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tosse secca e persistente, non produttiva
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senso di costrizione toracica
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ridotta tolleranza all’attività fisica
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estrema stanchezza cronica
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in alcuni casi, colorito bluastro delle labbra e delle dita (cianosi)
A differenza della polmonite batterica tradizionale, non sempre sono presenti febbre alta o sintomi acuti. Il decorso può essere lento ma progressivo, e spesso i pazienti arrivano alla diagnosi dopo mesi di sintomi sottovalutati o attribuiti ad altro.
Cause, fattori di rischio e categorie più esposte
Origine multifattoriale, spesso difficile da tracciare
Le polmoniti interstiziali possono avere diverse cause: alcune sono scatenate da esposizioni ambientali o professionali, altre sono associate a malattie autoimmuni, in altri casi restano idiopatiche, cioè senza una causa accertata.
Tra i fattori di rischio più documentati:
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Fumo: direttamente collegato a un’incidenza maggiore
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Esposizione a polveri sottili, metalli, muffe o fibre: frequente nei contesti lavorativi non protetti
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Malattie autoimmune: come artrite reumatoide, sclerodermia, lupus
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Reflusso gastroesofageo cronico: correlato a microaspirazioni polmonari
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Terapie farmacologiche e radioterapia: alcune cure oncologiche possono danneggiare il tessuto polmonare
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Età avanzata: più frequente dopo i 60 anni, con prevalenza leggermente maggiore negli uomini
Diagnosi e trattamenti: perché non esiste una “cura standard”
La conferma diagnostica richiede spesso un percorso articolato: TAC torace ad alta risoluzione (HRCT), test di funzionalità respiratoria, esami del sangue, valutazione specialistica pneumologica e, in casi selezionati, biopsia polmonare.
Non esiste una terapia unica efficace per tutti. Le opzioni possono includere:
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farmaci antifibrotici, che rallentano la progressione ma non la fermano
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corticosteroidi o immunosoppressori, utili nei casi associati a malattie autoimmuni
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ossigenoterapia nei quadri respiratori compromessi
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riabilitazione respiratoria per migliorare la qualità della vita
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trapianto di polmone nei casi più gravi e selezionati
La gestione dipende dalla causa, dalla rapidità di evoluzione e dalla risposta individuale ai trattamenti. Per questo la presa in carico multidisciplinare è un passaggio chiave.
L’importanza della diagnosi precoce
Se l’affanno non è più “normale”, se la tosse non passa, se camminare o fare una scala sembra improvvisamente più faticoso del dovuto, non si tratta di paranoia: potrebbero essere segnali da valutare. La polmonite interstiziale non è rara, ma spesso arriva tardi alla diagnosi perché sembra qualcos’altro.
Individuarla presto non significa guarire sempre, ma intervenire prima può rallentarne l’evoluzione e fare una differenza enorme sulla qualità della vita.









