Il nome Paolo Rossi evoca subito un’immagine: la gioia di un’Italia che esultava, un attaccante con il numero 20 che corre verso la porta avversaria e la rete che si gonfia. Quell’estate del 1982, con la tripletta al Brasile e il gol in finale al Bernabéu, trasformò “Pablito” in leggenda.
Paolo Rossi: dal talento giovanile alla rinascita

Nato a Prato il 23 settembre 1956, Rossi muove i primi passi nel calcio giovanile. A 16 anni entra nelle giovanili della Juventus, ma la consacrazione arriva con il trasferimento al LR Vicenza. Con i biancorossi segna 60 gol in 94 presenze: numeri che ne fanno una punta letale.
Una parentesi al Perugia Calcio, poi di nuovo la Juventus. Ma la carriera di Rossi conosce un momento buio: è coinvolto nello scandalo di calcio-scommesse (Totonero), che lo costringe a una squalifica di due anni. Per molti sarebbe la fine. Per lui l’inizio della leggenda.
L’estate del 1982: la rinascita che cambiò tutto
Dopo il ritorno in campo con la Juventus, Rossi viene convocato per i FIFA World Cup 1982 in Spagna. La prima parte del mondiale è difficile: poco gioco, poche chance. Ma il destino gli riserva una notte magica.
Il 5 luglio 1982, contro il Brasile, Pablito firma una tripletta memorabile: 3 gol che spianano la strada dell’Italia verso la semifinale. Quella partita resta uno dei momenti più iconici nella storia del calcio. Poi la finale a Madrid, contro la Germania Ovest, l’11 luglio: un gol e il trionfo mondiale. Con sei reti all’attivo, Rossi è capocannoniere del torneo e viene nominato miglior giocatore. A settembre, conquista anche il prestigioso Pallone d’Oro: un primato che lo consacra tra i più grandi mai visti.
Eredità e mito

Paolo Rossi non fu solo un bomber. Era la testimonianza che il calcio può redimere, può dare una seconda chance, può trasformare un “ex brocco” nell’eroe di un’intera nazione. La sua carriera, pur breve, è simbolo di rinascita e di talento puro. Con la maglia dell’Italia ha collezionato 48 presenze e 20 gol totali. A livello di club ha giocato anche per Milan e Hellas Verona, dopo le esperienze con Vicenza, Juventus e Perugia.
Più che un calciatore, un simbolo. Un uomo che ha incarnato la speranza, la rinascita, la capacità di stupire. Oggi pochi riescono a unire imprese sportive e amore popolare come fece lui: “Pablito” resta nel pantheon del calcio italiano.









