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Nel corso del 2025 il settore del Grana Padano ha vissuto una fase di tensione mai vista negli ultimi anni. La produzione è cresciuta in modo significativo, e secondo il direttore generale del consorzio responsabile, Stefano Berni, la quantità aumenta ad un ritmo che già nel 2026 potrebbe portare a un forte squilibrio tra offerta e domanda. 

Nei primi nove mesi del 2025 la crescita produttiva del Grana Padano si è quasi raddoppiata rispetto all’aumento dei consumi: un segnale preoccupante secondo il consorzio, che invita i caseifici a frenare per non saturare il mercato. 

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Non si tratta di semplici oscillazioni. A luglio, agosto e settembre 2025 i volumi hanno registrato aumenti mensili molto alti: +7,6%, +18,6% e +16,5%. Ancora più allarmante il fatto che queste produzioni abbiano riguardato anche periodi di bassa domanda, amplificando il disallineamento. Il risultato è un calo dei prezzi: lo stagionato che in estate veniva venduto a oltre 11 euro al chilo è sceso fino a 10,6 euro, penalizzando produttori e caseifici. 

Secondo Berni, se non si interviene subito con una riduzione della produzione il 2026 potrebbe diventare un anno molto difficile, con rischio di surplus, debolezza dei listini e perdita di valore per l’intero comparto. 

Le conseguenze per produttori, mercato e consumatori

Dietro questi numeri ci sono storie di imprese casearie, di allevatori e di comunità che fanno del Grana Padano un simbolo di tradizione, qualità e Made in Italy. Una sovrapproduzione sregolata rischia di compromettere questa identità, favorendo la concorrenza dei formaggi similari e riducendo il valore percepito della Dop

Le vendite nei canali retail, seppur altalenanti, mostrano segni di resistenza, con un buon appeal del prodotto per i consumatori. Ma il consorzio monitora con preoccupazione l’evoluzione dei listini e l’andamento dei consumi.  Se non arriva una stretta produttiva i rischi reali sono lo svalutamento del prodotto, un calo di redditività per gli allevatori e l’erosione del prestigio di un marchio storico.

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