Siamo la prima generazione nella storia che non stacca mai davvero. Anche quando spegniamo la luce, restiamo accesi: un ultimo scroll, una storia da vedere, un audio da ascoltare “al volo”, un reminder mentale che si aggiunge alla lista delle incombenze invisibili. Lo chiamiamo multitasking, ma somiglia sempre più a un’impossibilità di fermarsi.
La tecnologia doveva semplificare la vita. Lo ha fatto, in parte. Ma l’ha anche compressa, resa più densa, più veloce, più pretesa che vissuta. Il digital burnout non è solo stanchezza da schermo: è un sovraccarico cognitivo costante, un rumore di fondo mentale che non ha un interruttore.
I perchè del digital burnout
Si manifesta in modi apparentemente lievi: la fatica a concentrarsi su un testo lungo, l’irritabilità quando un video “è troppo lento”, la sensazione che anche il tempo libero debba essere in qualche modo ottimizzato.
Gli studi più recenti sul rapporto tra tecnologia e stress — tra cui ricerche pubblicate su Computers in Human Behavior — parlano di “always on culture”, una condizione in cui non è più la quantità di lavoro a stancarci, ma l’assenza di silenzio mentale tra un input e l’altro. Il cervello umano non è progettato per processare ottanta micro-decisioni al minuto, dal rispondere a un messaggio al valutare un meme, fino al ricordare che bisogna cambiare la password di un servizio che non usiamo più dal 2021.
Il paradosso è che non stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica, ma piuttosto una rivoluzione della percezione del tempo: tutto deve avvenire ora, sincronizzato, condiviso, notificato e soprattutto registrato. Anche la pausa rischia di diventare contenuto. Il risultato? Una stanchezza che non somiglia al sonno, ma a una specie di saturazione invisibile.
Come superarlo?
La soluzione non passa per un ritorno all’analogico — illusorio e, per molti versi, poco realistico — ma per una nuova alfabetizzazione digitale che non parli di app, ma di confini. Non “come usare meglio il telefono”, ma quando smettere di usarlo. Non “come essere più produttivi”, ma come essere presenti. Una rivoluzione piccola ma decisiva: restituire peso ai momenti che non generano notifiche.
E se la vera innovazione, nel 2025, non fosse l’intelligenza artificiale stessa, ma la capacità di dirle quando tacere?









