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Storie che non vi piaceranno affatto (Editrice Lìbrati)  non è solo il titolo del libro, ma anche un avvertimento. E’ un avvertimento a tutti i benpensanti e perbenisti e a quelli dalla letteratura si aspettano le avventure di una mamma che fa shopping. Sono dieci racconti crudi, che spaziano dal racconto gotico al pulp, la scrittrice flirta con le spy story, in alcuni casi avvinghia il lettore lo tiene attaccato alle pagine per la collottola in alcuni racconti invece lo lascia inorridire e rabbrividire, di fronte a scene ad alto contenuto ematico. La Ortenzi ha il raro dono di donare una identità specifica ad ognuno dei suoi personaggi, non scade sul banale e non crea personaggi che sono una fotocopia dell’altro. Ogni personaggio si muove in un suo habitat specifico ed è coeso con esso, non ci sono sbavature, le storie per quanto crude sono perfettamente credibili, sono gli stessi eventi che potremmo trovare nella cronaca nera dei nostri quotidiani nazionali.

LA RECENSIONE E L’INTERVISTA – La scrittura è affilata, un gergo colloquiale crudo e intenso che non si nasconde dietro eufemismi, pochi fronzoli, poche descrizioni inutilmente verbose, ma solo le parole necessarie, quelle giuste per descrivere tutta la scena e dare al lettore l’impressione di trovarsi all’interno della storie ed essere testimone dei fatti e misfatti che si celano in ogni appartamento, in ogni classe e in ogni gesto. Un libro consigliato a chi ha lo stomaco forte,  voglia di un libro e che è stanco dei romanzi stucchevoli che sono in vetta alle classifiche delle vendite nei supermercati. Consigliato fortemente anche ad un pubblico adolescente e giovane, che magari guarda ai libri con diffidenza perché pieni di “cose noiose”, questo libro parla della vita e della morte in maniera così intensa che molti ragazzi ne resteranno immancabilmente ammaliati. Consigliato!

Una raccolta di racconti: come mai questa scelta per una opera prima invece del “classico” romanzo? “Perché ci sono misure che ci stanno meglio, un po’ come i vestiti.  Ad alcuni può andar bene la misura del romanzo, ad altri quella del racconto. La misura del romanzo è più diluita, più costante. Quella del racconto più immediata, un’urgenza. E’ vero anche che ci sono romanzi vomitati in tempi brevi, e racconti stirati come piccoli universi. Al tempo di “Storie che non vi piaceranno affatto” mi stava meglio una misura più breve, immediata. Ora non so”.

Per scrivere il tuo libro ti sei ispirata ad alcuni fatti di cronaca nera? “No, mi bastava guardare il grigiume di alcune persone incastrate in vite non loro. Quella è cronaca nera”.

Molti dei personaggi sembrano persone potremmo incontrare sulla nostra strada, per delinearli hai preso spunto da qualcuno che hai conosciuto o incontrato? “Sì, mi pare di aver avuto qualche modello, ma non ricordo con esattezza chi. Quando scrissi quei racconti ero più egocentrata su certe sensazioni, non avevo molti modelli esterni. Alcuni racconti si basano su sogni che ho fatto, come “Testarotta”. Ho scoperto da poco il materiale umano, ma non so ancora usarlo molto bene. Suppongo sia perché non si “usa” – certamente molti intellettuali o pseudo tali (più pseudo che non) mi farebbero quest’osservazione. Io sono nella fase dell’uso. E’ una bella fase”.

Hai uno stile forte e accattivante, c’è un autore in particolare a cui fai riferimento o che ti ha influenzata? “Ti rispondo con un aneddoto. Quando ero bambina, passavo le vacanze con i miei genitori e mio fratello a Martinsicuro. Ora, io non ho nulla contro questa località balneare, ma a quei tempi mi pareva il posto meno divertente del mondo, il vuoto concretato: passavo il tempo ad annoiarmi. Mi ero lasciata alle spalle il parco giochi, ma ero ancora troppo piccola per i flirt, e curiosa come una scimmia. Leggevo molti fumetti, e dato che i miei mi lasciavano scorrazzare con la bici nel pomeriggio, in genere transitavo tra la spiaggia, l’edicola e casa. Una volta mi capitò tra le mani un libro di Stephen King, “La zona morta”. Non che non avessi mai letto libri prima, li leggevo eccome, ma era letteratura per ragazzi, ultracensurata. King era quanto di più estremo potesse capitarmi: io ero troppo piccola per leggerlo, ma se i miei mi vedevano con un libro in mano erano contenti, raramente controllavano le mie letture. Credo che tra i 9/10 anni e la piena adolescenza lessi tutto di King, per andare avanti con gli scrittori della beat generation come Kerouac, poi Bukowski… col tempo le mie letture si sono ammorbidite, ho cominciato ad apprezzare la fantascienza. Ora scrivo prevalentemente con un occhio rivolto a Philip Dick”.