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Classe 1991, teatro e tradizione. Dopo aver dato voce alle rievocazioni storiche e alle letture che hanno raccontato la tradizione sambenedettese, Chiara Cesari, dal Liceo Scientifico a La Sapienza per studiaregiurisprudenza, ha portato sul palco del Concordia il celebre dramma Ttenella di Bice Piacentini insieme al cast di Ribalta Picena. 

Nasce prima la passione per la recitazione o l’interesse per la tradizione? Ho imparato il dialetto all’età di 4 anni quando frequentavo la scuola materna di via Puglia, grazie alla maestra Lina che ci ha insegnato una piccola parte della nostra tradizione letteraria vernacolare. “lena e la gajiena” è stata la mia prima poesia. I miei parenti mi definivano uno spettacolo quando saltavo sulla sedia al centro della stanza, durante i pranzi e le cene e declamavo quello che avevo imparato, con l’aria divertente e divertita, con la mossa degna di una vera pesciarola. L’atteggiamento aggressivo e spavaldo delle donne dell’epoca mi affascinava sin da bambina, da quando mia nonna Vittoriana mi faceva guardare i film in bianco e nero su Rai3; la mia musa ispiratrice è Anna Magnani. Ho iniziato ad appassionarmi a questa forma d’arte e che se dipendesse da me eserciterei come professione; mi permette di essere quello che non sono nella realtà di tutti i giorni, mi permette soprattutto di immedesimarmi e di vivere emozioni che altrimenti non avrei modo di sentire mie ed è importante perché viviamo in un mondo oggi giorno in cui si fa difficoltà ad immedesimarsi nelle varie realtà perché siamo troppo presi da noi stessi e non ci preoccupiamo del resto, di chi ci sta intorno e di come gli altri vivono o si sentono.

 

Rievocare la tradizione attraverso letture e rappresentazioni permette di raccontare, trasmettere e tramandare. Quando hai iniziato a recitare con la Ribalta Picena? Ho iniziato a lavorare con la Ribalta Picena grazie a Vittoria, colei che ha scritto la maggior parte delle scenette di “Natale al Borgo”, quando ho recitato due battute in una sua scenetta al Paese Alto. Avevo 10 anni e da quel momento ho iniziato a collaborare con la Ribalta con scenette e letture, fino alla mia prima vera partecipazione teatrale nella commedia  “Lu suldate spaccò” , testo tradotto in dialetto del Miles Gloriosus di Plauto, facevo Filocomasia. Avevo fatto solo teatro di strada e salire su un palco vero, con un sipario che si apriva e si chiudeva, con quell’odore particolare che hanno i teatri, è stata un’emozione che ancora oggi ricordo; poi “La Pegne” dall’Aulularia di Plauto e, infine, la soddisfazione più grande “Ttenella”.

Ti abbiamo vista partecipare a tante iniziative culturali che hanno portato ai nostri giorni il passato della nostra cittadina. Che ruolo occupa la memoria per la nostra realtà territoriale? Quanto sentimento della tradizione c’è a San Benedetto? Io penso che la memoria per una città come san Benedetto, che ha una storia importantissima alle spalle e non parlo solo del turismo, sia una base ferma da cui partire per costruire la San Benedetto del futuro. Rispetto ad altri paesi o città più a sud dell’Italia in cui si tiene molto alle usanze, qui la maggior parte delle tradizioni che c’erano sono morte con i nostri antenati; sono molto critica su questo.

In un periodo di crisi come questo in cui abbiamo difficoltà a guardare al domani, quanto tengono i giovani al nostro passato? Il dialetto non si parla più tra i giovani, ad eccezione di qualche termine ricorrente. Le feste non sono più molto sentite, parlo di quella del Patrono e della Madonna della Marina. Si è perso un po’ lo spirito e la fierezza di far parte di questa città e in più mi rendo conto che alla conservazione delle tradizioni molti giovani si disinteressano.  Pensare, per esempio, che tra qualche anno non avremo più chi ci fa assaggiare il vero brodetto alla sambenedettese mi mette tristezza e credo che questo ci farà riflettere quando ormai sarà troppo tardi! La maggior parte dei giovani non sente il bisogno di riflettere sulle tradizioni; sono ancora pochi quelli che vengono a teatro a vedere “Ttenella”, “Natale al borgo” o altre manifestazioni. Si può fare di più, ma non posso lamentarmi perché l’assessorato alla cultura si è sempre prodigato per questo scopo.