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Università: dopo vari mesi di “didattica a distanza”, a causa dell’emergenza sanitaria, le università italiane si preparano a ripartire, nel nuovo Anno Accademico, con una forma di “didattica mista” (in parte con la presenza degli studenti, in parte con una modalità virtuale).

È stata questa, l’indicazione principale data dal Ministro dell’Università Gaetano Manfredi, con una scadenza provvisoria fissata all’inizio del 2021. Ed è su questo che si stanno concentrando i progetti e gli investimenti degli atenei italiani. I corsi di laurea saranno organizzati in modo da garantire dei turni di lezioni, permettendo a tutti gli studenti di partecipare alle lezioni in aula, che dovranno rispettare le misure di distanziamento fisico, necessarie per evitare il contagio da Coronavirus.

Come cambieranno le università italiane, dopo l’emergenza sanitaria

Per alcune università italiane, questi cambiamenti sono necessari, in modo da fare degli atenei un posto sicuro, in mezzo alla pandemia di Covid-19; ma costituiscono anche un’opportunità per sperimentare nuove forme di didattica, che potrebbero essere parzialmente mantenute in futuro. Ma c’è anche chi non la pensa nello stesso modo: negli scorsi giorni, un gruppo di quasi 900 docenti universitari ha firmato un appello, indirizzato al Ministro dell’Università e Ricerca, Gaetano Manfredi, per chiedere di ripensare le indicazioni ministeriali, in modo da dare priorità alle lezioni in presenza (“La didattica online è accettabile e, anzi benvenuta, per un breve periodo di emergenza, ma l’insegnamento è un’altra cosa”): con l’appello, è stata messa in discussione la tesi che la presenza fisica degli studenti sia sostituibile con le lezioni online.

Per alcuni, la “didattica a distanza” rispecchia una visione della didattica universitaria vecchia di oltre sessant’anni, riportando a un modello di apprendimento incentrato sul “trasferimento di conoscenze” per mezzo di lezioni cattedratiche, con scarso dialogo; a questo metodo didattico, si accompagna lo studio solitario, spesso consistente in una memorizzazione dei cosiddetti “manuali universitari”.

Le preoccupazioni non riguardano soltanto l’efficacia dell’insegnamento online, ma anche la possibile esclusione degli studenti con minori disponibilità economiche e di connessione a Internet. Il prossimo anno,  il pagamento dell’affitto di un appartamento in una città universitaria potrebbe essere giudicato una spesa secondaria, potendo seguire le lezioni anche online e in casa propria. Per altri studenti, inoltre, potrebbe essere una spesa non più sostenibile, per via delle difficoltà economiche seguite alla crisi appena cominciata. Il rischio, secondo i docenti che hanno firmato l’appello, è che l’insegnamento in presenza risulti una possibilità riservata a “pochi eletti”.

Sempre su indicazione ministeriale, le tasse delle università pubbliche dovranno essere ridotte per le famiglie o studenti con i redditi più bassi. A sfruttare la “didattica a distanza”, potrebbero essere gli studenti stranieri che non vivono abitualmente in Italia, e che potrebbero preferire di rimanere nei loro Paesi. In attesa di un decreto ufficiale, le università italiane stanno iniziando a programmare la ripartenza del nuovo Anno Accademico, in modo da coniugare il diritto allo studio e la tutela della salute delle persone.

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