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Claudio Alfonzi, classe 1953, risiede da sempre ad Ascoli Piceno, sua città natale, nella zona di Campo Parignano.

Autodidatta, inizia a dipingere all’età di circa vent’anni, non consapevole del fatto che l’amore per la pittura lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita; giovanissimo, ha occasione di partecipare a diverse mostre, affinando, nel corso del tempo, la sua tecnica pittorica.

 

 

L’artista stesso si dichiara grande appassionato della pittura fiamminga, e il suo modello è proprio uno dei grandi di quella corrente: Bruegel il Vecchio, da cui trae una concezione onirica del mondo calata nella popolanità, nella tradizione e nel folklore.

In Alfonzi, tuttavia, la visione della realtà è molto meno cruda di quella del maestro fiammingo: le sue opere sono più tenui, anche a livello cromatico, viene inscenata una realtà fiabesca e non sanguigna e ferina come quella di Bruegel. Questa peculiarità la trae da due pittori croati naif: Ivan Rabuzin e Ivan Generalić.

I temi della pittura di Cluadio Alfonzi

I temi più rappresentati dall’artista sono tratti a piene mani dall’ambiente da lui amato e respirato, ovvero la sua città e il paesaggio circostante. L’atmosfera che emerge dalle sue tele è magica: lo spettatore viene calato in luoghi piceni realmente esistenti, ma che si fanno spazio mentale, filtrato dal dolce ed innocente ricordo della gioventù. L’Ascoli di Alfonzi è una città fatta di torri, torrioni, campanili, circondata da una natura placida e idilliaca, che fa da sfondo a personaggi raccolti nella loro semplice quotidianità, assorbiti in un lavoro che ha sapore sacrale e valenza rituale poiché erede di una più antica operosità che si è tramandata, di padre in figlio, nel corso dei secoli.

 

 

La tecnica pittorica impiegata è semplice, ma riesce ad immortalare con efficacia frammenti di vita cittadina, nell’intrecciarsi di vicoli e di rue, nella stasi delle piazze e dei chiostri. Ad essere riportate alla luce sono le profonde radici dell’anima picena, fissate in un momento eterno da una luce calda ma piacevole, mai sgargiante. Insomma, è la compostezza cromatica del ductus pittorico a ricondurre l’atmosfera dei dipinti al tempo sospeso tipico della fiaba, calando il folklore piceno in una perfezione che, forse, non gli è mai appartenuta. O è esistita nei sogni.

 

 

La vita dei personaggi di Alfonzi è semplice, ma comunque dignitosa, anche quella dei meno abbienti, delle donne che si recano ai lavatoi  pubblici a lavare le vesti o dei contadini che, appena fuori città, sotto il sole cocente mietono il grano dorato, vedendo la loro vita scandita dai ritmi agresti e naturali. Le torri della città, immobili ed eterne, vegliano sulla dura vita dei campi, così come fa da custode il Monte Ascensione, rifugio, in età passate, di santi ed eretici.

Sintesi dell’opera pittorica dell’artista potrebbero essere due figure, un uomo e una donna, ormai anziani che, tenendosi sottobraccio, arrancano, stanchi ma sereni, per le vie cittadine fredde, invernali, spoglie ma che sono sempre accoglienti. Che sono sempre casa.

 

 

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