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In occasione delle elezioni amministrative di giugno 2024 il Vescovo della Diocesi di Ascoli Piceno Mons. Gianpiero Palmieri si è rivolto ai fedeli. Lo ha fatto con una lettera di cui riportiamo la terza ed ultima parte. La prima è qui, la seconda qui.

Lettera del Vescovo Palmieri per le elezioni: ultima parte

“Ormai da tempo nella Chiesa c’è consapevolezza che dall’unica fede non discende necessariamente l’impegno nello stesso partito politico, come scriveva già san Paolo VI nel 1971 (lettera Octogesima Adveniens… un testo profetico!).

In fondo, mai come adesso, nessun partito rappresenta pienamente e traduce fedelmente in scelte concrete la visione cristiana della vita. E’ proprio in questo “spazio” che si genera l’opportunità per i cristiani di interrogarsi, confrontarsi, agire di comune accordo, tra di loro e con tutti, perché in sede politica si facciano le scelte a vantaggio del bene comune e della protezione dei soggetti più fragili.

Il sistema democratico è proprio quello che permette a tutti di esprimere il proprio punto di vista e partecipare da protagonista alla vita del proprio paese.

A tutti coloro che si impegnano in politica, in particolare ai cristiani, chiediamo di non dimenticare mai che:

è necessario saper dialogare con tutti, ascoltare tutti, per studiare e approfondire le questioni che quotidianamente dovete affrontare, per esercitare l’arte della mediazione. In una continua ricerca non di convenienze tattiche ma di convergenze possibili nella direzione del bene comune. “Cercate senza timore il dialogo con chi vive accanto a voi. Anche con chi la pensa diversamente ma come voi desidera la pace, la giustizia, la fraternità. È nel dialogo che si può progettare un futuro condiviso. È attraverso il dialogo che costruiamo la pace, prendendoci cura di tutti e dialogando con tutti”. Papa Francesco all’AC italiana, 30 aprile 2017.

Le persone con i loro inalienabili diritti sono coloro che tutti siamo chiamati a servire.

Se c’è un essere umano che vede calpestato il suo diritto alla vita, ad un’esistenza dignitosa, ad un lavoro giustamente retribuito, alla casa, all’educazione e all’assistenza sanitaria, e così via, deve poter sperimentare che non è lasciato solo dalla comunità civile. La Chiesa fa la sua parte per “tamponare le emergenze” dei più poveri e delle persone fragili, come tutti sanno (emporio solidale, sostegno alla mensa Zarepta, centro di ascolto Caritas in quasi tutte le parrocchie, altre associazioni nate dalla comunità ecclesiale, ecc…). Ma la risposta vera e la realizzazione di soluzioni strutturali competono alla politica.

La legalità e la trasparenza devono rappresentare il clima diffuso in cui ognuno fa la sua parte rispettando le norme.

La mentalità clientelare invece cerca scappatoie in nome dell’interesse personale e a danno del bene comune. Non dovete essere “gli amici” che risolvono i problemi di qualcuno facendo passare avanti le richieste e le pratiche a scapito di altri. Questo è un privilegio di pochi che, divenuto così abituale e diffuso, scatena sempre un sentimento collettivo di sfiducia e di aggressività. Se tanti evadono le tasse (96,3 miliardi l’anno… metà del Pnrr assegnato all’Italia!) e non ci si cura della qualità e quantità della spesa pubblica, non scandalizziamoci della mancanza di risorse per la sanità e l’edilizia scolastica. Il primato del bene comune non è uno slogan, ma un compito molto concreto della politica

La solidarietà e la sussidiarietà sono da sempre capisaldi della dottrina sociale della Chiesa.

Parlano di una società che ha maturato un “noi” solido e coeso, che ha imparato a camminare insieme e a crescere, permettendo a tutti di essere protagonisti della vita sociale. Questo richiede che le regole della vita democratica fissate dalla Costituzione siano custodite e fatte rispettare da tutti. Saremo così difesi dai poteri forti e dalle lobby che lavorano nell’ombra decidendo della sorte di tutti. Anche la Chiesa potrebbe comportarsi da lobby se agisse nel torbido e non rispettasse le regole democratiche! Ma non lo fa e insegna a tutti a rispettarle, ad esempio nella sua “scuola di politica” (come quella realizzata l’anno scorso dalla nostra Diocesi insieme a quella di san Benedetto).

In questi giorni, sulle cronache locali, si è tornato a parlare di massoneria. Sia nella sua versione atea che in quella cosiddetta teista (che crede in un dio diverso da quello cristiano) la massoneria si pone l’obiettivo di sradicare la fede dei cristiani e agisce come lobby a vantaggio dei suoi membri. Come tutti sanno, la storia del nostro Paese è stata segnata fortemente dai danni provocati dalle trame occulte di alcune logge massoniche (cfr. gli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta).  Ricordo che il 26 novembre 2023 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito questi punti critici, riaffermando la proibizione per i cristiani di farne parte.

La difesa della vita umana, della sua sacralità, dal concepimento alla morte naturale è un obiettivo dei cristiani in politica.

Non è facile oggi realizzare una condivisione piena da parte di tutti di questa concezione della vita umana, in modo tale che almeno non si ricorra all’aborto come se fosse un metodo contraccettivo. O che l’eutanasia non diventi una pratica a cui accedere per non dover finanziare le cure palliative. Per questo la Chiesa continuerà ad annunciare il Vangelo e a fare il suo lavoro culturale, in modo da creare consenso sociale su questi punti. Ciò che si chiede ai partiti è non pretendere dai propri politici di obbedire ad “ordini di scuderia” su questioni che sono di coscienza. Un politico cristiano non può che obbedire alla voce di Dio che risuona nella propria coscienza. E nessuno ha il diritto di pretendere di svenderla e metterla da parte.

Proprio per custodire questa libertà della comunità cristiana e del cristiano che si impegna in politica, ribadisco una norma ecclesiale diffusa un po’ ovunque nella Chiesa italiana: chi si candida alle elezioni in un partito o formazione politica e svolge un servizio “apicale” nella comunità cristiana, è bene che lasci quel servizio, per evitare strumentalizzazioni di ogni tipo.

Mi riferisco in particolare all’essere membro del Consiglio Pastorale Diocesano o del Consiglio Affari Economici e di quelli della propria parrocchia. Sono infatti i luoghi, espressione della partecipazione laicale, in cui si elaborano insieme le decisioni ecclesiali da prendere. Nei rispettivi statuti della nostra Diocesi è già prevista questa eventualità. Lo stesso va detto per chi è responsabile degli Uffici pastorali o amministrativi della Diocesi.

Questo non significa affatto che chi si candida deve lasciare il suo impegno cristiano, la partecipazione alla vita della propria parrocchia o di un’associazione o movimento ecclesiale.

Direi, anzi, che chi sceglie questo servizio ha bisogno di sentirsi parte della propria comunità cristiana per essere sostenuto nel suo impegno.

Mi riferisco solo a ruoli in servizi che implichino una responsabilità decisionale.

Preferisco ribadire questo punto prima dell’ufficializzazione delle liste per evitare che questo pronunciamento sia interpretato contro “qualcuno”.

Va invece nella direzione del rispetto delle regole del “gioco politico”.

Quello che attende la politica nel nostro territorio, in sintesi, è un impegno grande e alto. Lo si compie non solo per senso del dovere, ma per amore. Chiedo a voi, candidati politici, di avere sempre nel cuore questa domanda fondamentale: ciò che faccio e che dico aiuta tutti e ciascuno a ritrovare la speranza? Perché siete chiamati ad essere testimoni della forza della speranza, quella che tutti cercano e di cui tutti lamentano invece l’assenza… Non vi faremo mancare la preghiera e l’aiuto. Un saluto a tutti! “

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