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Milen incontra la Storia una sera a Gorizia mentre svolge il suo lavoro da infermiera. Ha poco più di venti anni, un marito in guerra e un fratello partigiano. Anche lei sceglierà di unirsi alla Resistenza e perdersi nella foresta dove i feriti vengono curati. Come la foresta ama il fiume è l’esordio letterario dell’ascolana Anna Laura Biagini che ci regala una storia appassionante misurandosi con gli avvenimenti realmente accaduti al confine tra Italia e Slovenia durante la seconda guerra mondiale. 

Erna è un luogo inesistente per la maggior parte delle persone, abitato solo da ragazzi che hanno deciso di unirsi alla lotta partigiana per rendersi utili alla causa, lavorando in un ospedale provvisorio. Un microcosmo crocevia di lingue e culture, in cui ognuno ha un ruolo con cui confrontarsi, dove l’identità e i sentimenti scoprono una nuova forma.

Le giornate assumono la cadenza del fiume, il tempo è scandito dal numero di feriti da curare, l’eco della guerra è quasi impercettibile. La protagonista Milen si troverà a sua insaputa a fare i conti con una nuova stagione di vita in cui la nequizia della guerra imporrà risvolti dolorosi ai destini personali. L’amicizia e l’amore la coinvolgeranno in un’esistenza sospesa ma senza remore, dove la battaglia finale è la riconquista della propria libertà di donna e cittadina. La trama avvincente, grazie alla straordinaria capacità descrittiva dell’autrice, rende questo libro un romanzo necessario per comprendere uno spaccato di Storia recente di una terra dilaniata e rivendicata da fazioni politiche ed etniche opposte. Un conflitto tra le parti che è anche un’esiziale invenzione della guerra tesa a dissolvere le identità delle persone. Sebbene ciò non porti a nessuna nemesi, è pur vero che infonde ai suoi protagonisti una consapevolezza che si fonda su basi di pace e libertà. E la sintesi sta nel pensiero di Milen: “la Slovenia era la patria, il padre, l’onore, la fierezza, il sangue, i compagni, la speranza, la libertà. L’Italia era la madre, la casa, gli amici, le abitudini, Ivan, il mio futuro”.

La guerra è foriera di morte e violenza. Erna è una stilla in mezzo agli innumerevoli campi di battaglia, un piccolo mondo in cui è possibile salvare ciò che resta di umano. Perché hai deciso di raccontare questo luogo? “Durante la mia visita nel 2007 in Slovenia, esattamente all’ospedale partigiano di Franja, il vero nome di Erna, sono stata subito molto colpita dal luogo. Un insediamento ben nascosto nella foresta eppure tanto centrale ai fini della lotta partigiana. Mi sono immediatamente resa conto che a Franja sono successe cose straordinarie, perché far convivere diverse ideologie per salvare la vita delle persone non era scontato come può sembrare. E tutto questo, mi sono chiesta, come avrà influenzato la vita delle persone che ci hanno vissuto, delle infermiere, dei soldati e dei partigiani che erano pur sempre giovani con le loro fragilità e le loro emozioni? Volevo condividere questa storia straordinaria perché come dico all’inizio del libro: un luogo non esiste finché qualcuno non ne parla”.

Dalla narrazione si evince una documentazione dettagliata dei fatti dell’epoca. Come è avvenuta la ricerca storica? “Mi sono documentata leggendo diversi testi sulla Resistenza slovena e friulana, recuperati nelle biblioteche degli Istituti per il Movimento di Liberazione locali. Anzi, devo ringraziare l’Isml di Ascoli per l’appoggio fornito nel reperire i libri tramite la loro rete. Ci tenevo che i riferimenti storici fossero impeccabili pur in presenza di personaggi inventati o liberamente ispirati”.

Ho apprezzato la scelta di raccontare una storia di confine che ha messo in luce le contraddizioni politiche di quella regione. Ad un certo punto Milen si rende conto di essere tanto italiana quanto slovena e di non riuscire a decidere da che parte stare, al contrario di suo fratello Dema. Forse l’inutilità del conflitto sta tutta lì, nella mancanza di senso di certe rivendicazioni e appartenenze. Vorrei sapere cosa ne pensi e come hai sviluppato questo argomento. “Uno dei temi del romanzo è proprio la ricerca dell’identità. Che sia identità personale o etnica è pur sempre un percorso personale alla ricerca di noi stessi, solo che in questo caso la Storia va ad influenzare le storie dei personaggi con eventi più grandi di loro, condizionando le loro scelte. E’ quello che succede anche a noi ogni giorno credo, anche se non ne siamo così consapevoli. Mi sembra inoltre un tema di grande attualità quello dei confini e della definizione di straniero, che tanto ancora ci turba”.

Nel tuo libro c’è un’intensa storia d’amore che è il filo conduttore di tutti gli eventi narrati. Come mai questa scelta? “Se avessi voluto raccontare solo le vicende belliche mi sarei limitata a scrivere un saggio, ma non è il mio lavoro né ero interessata a produrre un testo simile. Credo che la vera storia che meriti di essere ricordata è quella raccontata dalle persone, quindi mi piaceva l’idea di rendere nota l’esistenza di Franja tramite le vicende umane e cosa c’è di più umano dell’amore. Mi è parso impensabile che tra i suoi abitanti, nei due anni che rimase attivo l’ospedale, nessuno si fosse innamorato. Tra tanti giovani di forti passioni, nell’ardore della lotta, non posso non immaginare anche l’intrecciarsi di un sentimento altrettanto forte come l’amore”.

Qual è l’insegnamento che hai ricevuto durante la scrittura di questa storia e quale pensi sia la principale chiave di lettura? “Innanzitutto sono stata molto fortunata, perché l’ispirazione non mi ha mai abbandonata. Credo che scrivere sullo slancio della creatività sia faticoso ma altrettanto gratificante. Vedere giorno dopo giorno che la storia prendeva forma grazie alla costanza e alla passione è stata la conferma che il lavoro paga e che i sogni si possono realizzare. Detto questo, la chiave di lettura che vorrei i lettori dessero avvicinandosi a Come la foresta ama il fiume, è propria di un atteggiamento privo di pregiudizi. Il libro non è un’apologia politica, né intende sostituire i saggi storici, ma mi piacerebbe che i lettori godessero della lettura emozionandosi e allo stesso tempo restando consapevoli di come Storia e storie siano ineluttabilmente intrecciate fra loro”.