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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È arrivato il fatidico 8 marzo e la mimosa – viste le basse temperature, oppure per sfuggire al suo destino che la lega a streeptease o uscite scalmanate di gruppo, rigorosamente in rosa – ha deciso di sbocciare in anticipo e già, a dirla tutta, succede da qualche anno.

ABOLIAMO IL ROSA – Cosa ci sarà poi da festeggiare l’8 marzo proprio non si capisce. In un paese, l’Italia, dove sono obbligatorie le “quote rosa” e dove in ogni lista, dalle comunali in su, vengono coinvolte signore o signorine che con la politica non hanno nulla da spartire. Ma si sa, bisogna far numero, vuoi mettere un consiglio comunale senza donne? Scherziamo? Come se le femmine fossero un animale in estinzione quando sono di più, pare almeno 7 per ogni maschio.

Dovremmo abolirlo questo “rosa”, non ci fa onore, ci penalizza, ci mette al pari del felice Quokka, ma la politica non è fatta di bei sorrisi e selfie, dovrebbe invece (il condizionale qui è d’obbligo) basarsi su impegno e competenza, passione e onestà. L’imprenditrice in quota rosa, il medico in quota rosa, il politico in quota rosa… Si è migliori in quanto donne? Si è le migliori tra le donne? Ma cosa significa?

L’UGUAGLIANZA NON È UN PROBLEMA DI FORMA – Pare che l’uguaglianza debba passare per storpiature linguistiche tipo il “parlare al femminile” consigliato dal presidente della Camera, Laura Boldrini, per cui l’avvocato femmina diventa l’avvocata, o avvocatessa. Un suono che fa tanto film anni ’70. Sì, proprio quei film nati, si dice, per ironizzare la rivoluzione femminile del ’68, e che avevano titoli tipo “La Pretora” (con protagonista Edwige Fenech).

Il problema dei diritti della donna non può avere la stessa valenza di un vizio di forma, quando si dovrebbe riflettere invece sui contenuti. Contenuti di cui non si parla mai.

Perché in fondo, siamo onesti, a parità di requisiti doti e cultura, viene scelto l’uomo, perché la donna deve sposarsi, fare e pensare ai figli. Se poi riesce a ottenere un lavoro prende meno dell’uomo: per il divario nelle retribuzioni tra uomini e donne, siamo terz’ultimi in Europa, dopo di noi la Polonia, Malta e Slovenia. In Italia, il paese per eccellenza della “famigghia” il welfare è rimasto ancora un suono, un soffio di fiato, un alito embrionale di futuro che futuro ancora non è.

DONNE ATTENDENTI – Quante donne, alle prese con vari colloqui, hanno mentito sul loro stato affettivo e hanno anche nascosto eventuali fedi/fedine? Quante negano anche solo l’idea di voler avere un figlio? Perché sennò già la difficile assunzione diventa impossibile. Però, per onestà, bisogna anche dire che ci sono donne che approfittano della maternità che delle volte, mettiamola così, si allunga un po’ troppo. E lo Stato in tutto questo non tutela né le imprese, a partire da quelle più piccole, né e soprattutto la donna, che quando è seria e responsabile si accolla la fatica, tipica italiana, di fare figli e di non sapere a chi affidarli perché spetta solo a lei accudirli e spesso anche in assenza di nonni disponibili. Se la maternità fosse un dovere o un fatto scontato per la donna, la società stessa dovrebbe adeguarsi e venirle in contro. La realtà è che molte donne rimangono in attese che il lavoro diventi fisso, che la retribuzione aumenti e che gli orari non siano infernali. Ma il tempo passa e la “società” si ricorda di loro quando, diciamocela tutta, con una certa impertinenza e totale mancanza di sensibilità, chiede a una giovane e anche a una non tanto più giovane donna “ma come mai non ha figli?”, “non è ora che tu faccia un bambino? Che aspetti?”. Queste “società” pare non si renda conto di come vada il mondo, un mondo che ha contribuito a creare e di cui si rifiuta di coglierne le conseguenze.

Alcune donne invece approfittano della mancanza di un lavoro per restare incinte, nella speranza di trovare più in là una occupazione, e per loro si è coniata una nuova categoria, quella delle “attendenti”. Avendo già un figlio, forse non rischieranno di essere licenziate appena incinte, come succede in Italia a una donna su quattro.

8 MARZO – Dimentichiamoci di questa festa, allora, dei fiori, dei regali, e di tutte le inutilità che la riguardano e semmai dedichiamo un momento al ricordo solo le vittime dell’incendio della Fabbrica Triangle. Cominciamo a impegnarci tutti i giorni per far sì che l’Italia diventi un paese in cui la donna sia intesa semplicemente come una persona al pari di tutte le altre persone, con difetti pregi e opportunità meritate. Un paese che aiuti le donne, facendo sì che il travaglio (gioco di parole) si riduca solo al momento della sala parto e non determini tutta la vita di chi desidera un bambino. Altro che minigonne e canti in piazza dedicati all’utero di proprietà… Questa sarebbe davvero la rivoluzione!

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