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SENIGALLIA – Ricalcando quanto già avviene in Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Umbria, presso il Distretto 4 di Senigallia la Regione Marche sperimenterà un modello assistenziale di interruzione volontaria farmacologica della gravidanza (IVG).

LA SPERIMENTAZIONE – Lo ha deciso la Giunta regionale, approvando la delibera che autorizza l’Asur ad avviare la sperimentazione. Il modello organizzativo proposto consente di utilizzare al meglio le strutture consultoriali e i presidi ospedalieri, evitando ricoveri non necessari, dal momento che l’IGV farmacologica permette una precoce interruzione della gestazione, senza l’invasività chirurgica. Il percorso di interruzione con la RU 486, che si è deciso di sperimentare nelle Marche, prevede un primo accesso al Consultorio familiare per confermare la gravidanza, verificare i criteri di ammissione e l’assenza di controindicazioni al trattamento farmacologico, per fornire le informazioni necessarie, prenotare il Day Hospital e prendere in carico la paziente anche dal punto di vista psicologico. Successivamente, al primo accesso in Day Hospital, avviene l’apertura della cartella clinica, la somministrazione del farmaco con le prescrizioni, le informative e le segnalazioni necessarie (al medico di pronto soccorso e al Consultorio). A distanza di 48 ore viene programmato il secondo controllo. Dopo 14 giorni sarà necessario rivolgersi nuovamente al Consultorio familiare dove verrà effettuata la visita di controllo e l’ecografia per verificare la completezza dell’aborto o, in caso di aborto incompleto, programmare il successivo percorso chirurgico presso il presidio ospedaliero di riferimento.

L’IVG – L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) viene disciplinata dalla legge 194/1978 che la regolamenta, ma non la liberalizza, consentendola nei primi 90 giorni di gestazione. Nel 2009 il Ministero della Salute ha previsto il ricovero ospedaliero di tre giorni per le donne che ricorrono a IGV farmacologica, ma alcune regioni hanno scelto di esercitare la loro autonomia nell’erogazione e gestione del servizio, non ricorrendo al ricovero ordinario, al fine di fornire un servizio più vicino alla popolazione, in contesti sociali e relazionali che rispondono maggiormente alle esigenze della donna.

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