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Nel dibattito sulla riforma delle pensioni in vista del 2026 il tema del riscatto laurea sta assumendo un peso crescente, soprattutto per chi ambisce a un’uscita anticipata dal lavoro. Con l’inclusione di emendamenti specifici nella Manovra 2026, il modo in cui gli anni di studio universitario valgono ai fini pensionistici sta subendo modifiche profonde, e alcune novità stanno già facendo discutere esperti, sindacati e lavoratori in tutta Italia.

Cos’è il riscatto della laurea e perché conta

Il riscatto laurea è uno strumento previsto dall’INPS che consente di valorizzare gli anni trascorsi all’università ai fini della pensione, anche se non si è lavorato in quel periodo. In pratica, si può pagare per “convertire” il tempo di studi in contributi utili per il calcolo della pensione futura.
Secondo il portale ufficiale dell’INPS, il riscatto può essere richiesto da laureati, lavoratori autonomi, dipendenti pubblici o privati, e persino da soggetti inoccupati che non siano iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza sociale, purché abbiano conseguito il titolo universitario.

Questo meccanismo permette di aumentare gli anni di contribuzione per raggiungere prima i requisiti necessari e può risultare decisivo nel percorso verso la pensione anticipata. Tuttavia, proprio questa caratteristica ne ha fatto uno dei target principali delle nuove norme previdenziali in discussione.

La stretta nella Manovra 2026

Secondo il più recente maxiemendamento al disegno di legge di bilancio, la normativa sul riscatto della laurea verrà rivista a partire dal 1° gennaio 2031, con un impatto significativo soprattutto sulla possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro.

Attualmente, chi raggiunge i requisiti per la pensione anticipata può includere anche gli anni riscattati nel totale contributivo richiesto. Ma con la nuova norma i mesi riscattati non conteranno più interamente per il calcolo dei contributi utili alla pensione anticipata: la percentuale esclusa crescerà progressivamente negli anni successivi al 2031, fino a raggiungere i 30 mesi esclusi per chi maturerà i requisiti nel 2035.

Questa modifica non cancella lo strumento, ma ne riduce l’efficacia: un effetto che alcuni osservatori descrivono come una stretta sulle pensioni anticipate tramite riscatto laurea e che potrebbe spingere molte persone a riconsiderare le proprie strategie previdenziali.

Perché il governo interviene su questo tema

Il motivo alla base della revisione, spiegano fonti parlamentari citate nelle cronache economiche, è duplice: da un lato si vuole preservare la sostenibilità del sistema pensionistico, dall’altro si cerca di evitare che il riscatto degli anni di studio, soprattutto quelli di laurea breve come i 33 mesi tipici di un corso triennale, diventi uno strumento troppo “facile” per anticipare l’uscita dal lavoro.
Secondo un emendamento citato da più fonti giornalistiche, il vantaggio contributivo diminuito dovrebbe bilanciare l’uso dello strumento con le esigenze degli equilibri finanziari nazionali nel medio e lungo periodo.

Questa strategia rientra nel più ampio contesto delle pensioni in Manovra 2026, un capitolo che include anche altre modifiche come l’allungamento delle cosiddette “finestre” tra maturazione del diritto e decorrenza dell’assegno per le pensioni anticipate. Queste finestre, ovvero i mesi che intercorrono tra il raggiungimento dei requisiti contributivi e l’inizio effettivo della pensione, stanno infatti aumentando progressivamente con gli anni, un cambiamento che influisce direttamente su chi punta all’uscita anticipata.

Cosa cambia nella pratica per chi vuole riscattare la laurea

Per chi stava pianificando di riscattare la laurea con l’obiettivo di andare in pensione prima della vecchiaia, queste novità rappresentano un punto di svolta. La penalizzazione progressiva dei mesi riscattati riduce l’impatto complessivo di questa operazione sul percorso previdenziale, rendendo meno conveniente l’investimento economico e richiedendo un’attenta riflessione sul rapporto tra costi e benefici.

Negli anni scorsi una proposta aveva anche ipotizzato una significativa riduzione del costo del riscatto, fissandolo a circa 900 euro per anno accademico rispetto agli oltre 6.000 euro tradizionali per i corsi universitarî standard. Questa ipotesi, sostenuta dal disegno di legge 1413/2025, era stata accolta con interesse perché prometteva di rivoluzionare l’accesso alla pensione anticipata, pur con qualche riserva sugli oneri a lungo termine. 

Oggi, però, la prospettiva di un riscatto “comodo” e pienamente utile al raggiungimento dell’anticipata è complicata dalla nuova norma. Chi deciderà di riscattare anni di studio dal 2031 in poi dovrà tener conto non solo del costo e dei benefici contributivi, ma anche delle novità introdotte dalla Manovra 2026 che riducono l’apporto di quei mesi al requisito finale.

Un dibattito aperto nel mondo previdenziale

Le modifiche al riscatto universitario inserite nella legge di bilancio hanno acceso un dibattito ampio, che coinvolge sindacati, associazioni di categoria, lavoratori e giovani professionisti. Da un lato si riconosce la necessità di salvaguardare l’equilibrio del sistema pensionistico, dall’altro si teme che strumenti come il riscatto laurea diventino progressivamente meno attraenti per chi vorrebbe ridurre gli anni di lavoro.

In questo senso, la discussione in corso evidenzia un nodo più ampio: come bilanciare equità, sostenibilità e aspirazioni individuali nel quadro di un sistema previdenziale complesso e in trasformazione. La risposta non è semplice e richiede tempo, confronto e forse ulteriori aggiustamenti legislativi.

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