Articolo
Testo articolo principale

ASCOLI PICENO – Si parla nuovamente d’amore al Ventidio Basso, ma questa volta amore fa rima con realtà. Nessuna scena patinata, nessuna storia a lieto fine:  “Scene da un matrimonio”, rilettura in chiave contemporanea e contestualizzata dell’omonimo lavoro cinematografico del regista svedese Ingmar Bergman, è un’analisi spietata e lucida, firmata dal regista Alessandro D’Alatri, sui rapporti umani e in particolare quelli coniugali.

Il perno centrale dell’opera, divisa in dodici scene ed interpretata da uno splendido Daniele Pecci e una maestosa Federica Di Martino, belli da copertina e bravi da premio, sta nella relazione tra un uomo e una donna che si confrontano nel quotidiano della convivenza. Una scenografia minimalista ma di grande effetto, grazie al gioco di luci e veli, aiuta gli attori a raccontare come per Marianna e Giovanni, apparentemente coppia ideale, crollino le illusioni sulle quali si fonda la loro relazione alla rivelazione di un tradimento. Partendo dal tema della delusione e della perdita delle proprie sicurezze, con un velato accenno alla sottomessa dedizione della donna all’uomo e l’essere entrambi annoiati del  tran tran di una vita fatta dei soliti eventi, pian piano si dissolve il pensiero iniziale della coppia quando, criticando le liti furibonde di una coppia di amici avevano, compiacendosi, commentato “a noi non accadrà mai”.

 

In realtà  un’esistenza che rischia di diventare monotonia e prigionia  per l’incapacità di sapere godere dei momenti e l’impossibilità di ribellarsi a una vita il cui tranquillo scorrere diventa un’onda anomala finirà con il travolgere i due protagonisti.  Il matrimonio come relazione psicologica: prima Bergman, fortemente influenzato dal pensiero junghiano, scavava nell’interiorità dei personaggi per togliergli la maschera e svelare il loro vero volto, “l’ombra nascosta”, poi D’Alatri, che in questo inferno di incomunicabilità e violenza familiare digerisce il contenuto crudo e introspettivo per il pubblico teatrale, aiutato dal fatto che i due protagonisti appartengano ad una fascia d’età in bilico tra la gioventù e la piena maturità, caso che rende l’allestimento adatto ad un pubblico di giovani e non solo. La colonna sonora, arpeggi di chitarra acustica melanconica è stata affidata al genio di Franco Mussida, chitarrista e fondatore della PFM, qui al suo debutto come “autore” teatrale.