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Cecco d’Ascoli, al secolo Francesco Stabili, nasce ad Ancarano, probabilmente nel 1269. Divide il resto della sua vita tra Bologna, dove è insegnante universitario molto amato dai suoi alunni, e Firenze dove, invece, trova la morte, arso vivo sul rogo nel 1327, condannato per eresia dal Sant’Uffizio.

La sua vita è stata tutta dedicata alla ricerca della Conoscenza e della Verità, perseguita con la tipica caparbia ascolana (“L’ho detto, l’ho insegnato, lo credo” sembra siano state le ultime parole da lui proferite sulla pira) e l’acutezza dell’iniziazione misterica, praticando la scienza e l’alchimia, intendendo quest’ultima non tanto come il misterioso processo che trasforma i metalli in oro, bensì come un percorso di elevazione e perfezionamento personale, di ascesa verso l’alto. Il concetto di salita, del resto, è strettamente connesso al suo personaggio, collegato ai monti per eccellenza della Terra di Marca, i Sibillini.

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Cecco d’Ascoli, il Lago di Pilato e la Sibilla

Tradizione vuole che Cecco, conosciuto anche come “Negromante di Norcia” – e citato nel Faust del poeta e drammaturgo tedesco Goethe in versi di grande intensità -, si sia recato al Lago di Pilato, nel Medioevo, allora chiamato Lago della Sibilla, per consacrare il Libro del Comando al demonio. Il Libro del Comando è un testo di magia nera esistente in diverse tradizioni folcloriche italiane, contenente le formule per invocare l’intervento del diavolo e piegare gli eventi al proprio volere. Così, l’eretico pensatore ascolano, sarebbe salito sino alle pendici del Monte Vettore, a 1941 m d’altezza, per stringere un patto con le forze del male, nella terribile solitudine della notte che attanaglia quel luogo remoto e isolato.

Nella lingua che separa attualmente i due bacini del lago è stata ritrovata una pietra, chiamata Gran Pietra ed oggi conservata a Montemonaco presso il Museo della Sibilla, dove sono incisi caratteri misteriosi non ancora del tutto decifrati; nel 2002 venne rinvenuta un’altra scritta in un masso posto sul punto di intersezione dei due specchi d’acqua, che in estate o nelle stagioni particolarmente secche si separano, con incisa una data: 1578. Il nome antico del bacino era Lacum Sibillae, ed è interessante notare come all’ingresso della Grotta della Sibilla sia stata trovata un’incisione che sembra recitare: AV. P 1378 (o 1578?).

 

Gran Pietra

 

Iscrizione Grotta della Sibilla

 

 

Alcuni studiosi sostengono il rimaneggiamento successivo, tra XVII e XVIII secolo, del 1378 in 1578. Evidentemente, l’anno 1578 fu un anno importante per i Sibillini, anche se gli eventi avvenuti, magari legati a riti magici, si sono persi nel mistero.

I Sibillini, dunque, si riconfermano ancora una volta come luoghi contraddittori, connubio di bene e male, di santità e dannazione, fatto che si evince anche dai toponimi: Pizzo del Diavolo, Passo Cattivo, Infernaccio, Lago di Pilato. E un personaggio poliedrico come Cecco non avrebbe potuto fare a meno di amarli.

 

 

 

E’l spatio che fra le stelle vidi
fra il confalone e’l pozzo, e’l foco sacro,
è gran segreto: voglio che tu credi.
Lì son le carattere segnate.
Le lor vertude qui non ti disacro
qual son da la Sibilla sogiellate.

Cecco d’Ascoli, L’Acerba

 

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