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L’arte della distillazione ha origini molto antiche. Secondo gli storici questo processo è stato scoperto intorno al 500 a.C. ed il primo a spiegarne il funzionamento fu Dioscoride Medanio, un medico erborista greco che osservò le pozzanghere di acqua piovana asciugarsi al sole.

In questo modo Dioscoride Medanio capì che il processo di distillazione consisteva nel far evaporare l’acqua e che potesse essere applicato a diverse forme. Lo stesso Dioscoride Medanio creò il primo alambicco che al tempo veniva chiamato, in greco, ambix.

Fu però in Mesopotamia che l’alambicco trovò la sua prima massima espressione. A Tepe Gawra, nell’alta valle del fiume Tigri e a 20 km a est di Mossoul (odierno Irak) sono stati rinvenuti dei frammenti di alambicco rudimentale risalente circa al II secolo a.C., mentre un altro è stato ritrovato in un aree corrispondenti all’attuale Pakistan, anch’esso riconducibile al II secolo a.C.. Secondo gli storici, infatti, la civiltà mesopotamica conosceva e praticava l’arte della distillazione proprio attraverso l’uso dell’alambicco.

Qualche anno fa, nel sito di Abrahàm, nella Slovacchia sud occidentale, sono stati rinvenuti i resti del più antico alambicco costruito dall’uomo. Si tratta di uno strumento del 4000 a. C. a tre pezzi mobili, dove le tre funzioni della distillazione avvengono in un unico corpo: ebollizione, condensazione e raccolta. Il liquido veniva riscaldato nel recipiente basso, vaporizzava e condensava sulle pareti di un coperchio convesso, che convogliava il distillato in un collettore anulare. Una tecnologia definita «estrazione ad anello di recupero», precorritrice del moderno separatore a riflusso, che agisce in simile.

L’alambicco moderno

Oggi l’alambicco è diventato uno strumento molto pratico e come ricorda il sito specializzato Miglioralambicco.it, viene utilizzato per produrre principalmente la grappa.

L’alambicco è composto da:  una caldaia, che ospita le vinacce (le bucce degli acini d’uva), da un tappo che lo chiude ermeticamente, da cui esce un tubo, detto “collo di cigno” dentro il quale passano i vapori fino a raggiungere una serpentina, raffreddata ad acqua, dove i vapori stessi si condensano, ritornando liquidi e dando così vita al distillato.

Grazie all’alambicco la temperatura di ebollizione dell’alcol etilico è di 78,4 gradi centigradi. Nel metodo tradizionale di distillazione, quello cosiddetto discontinuo, si mettono nella caldaia una quantità prefissata di vinacce e di acqua (di solito al 50%) poi si inizia a scaldare lentamente la caldaia. Quando la miscela di acqua e vinacce incomincia a riscaldarsi, inizialmente sviluppa i vapori delle sostanze più volatili (che hanno cioè una temperatura di ebollizione inferiore) come l’alcool metilico, l’aldeide acetica e l’acetato di etile.

La condensazione di questi elementi, accompagnata da un odore sgradevole, rappresenta la cosiddetta “testa”, che, come è noto deve essere scartata perché estremamente tossica e pericolosa. A partire da 78,4 gradi centigradi e sino a 100, abbiamo il “cuore” della grappa, composto da alcol etilico e sostanze volatili che conferiscono gusto e aroma del distillato. Sopra i 100 gradi c’è la “coda”, non pericolosa per la salute ma ricca di impurità e olio amilico, spesso di sapore e odore sgradevoli.

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