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ASCOLI PICENO – Mettete insieme un buon obiettivo, il talento di un giovane fotografo, un’associazione di volontariato che si occupa di rifugiati, e occhi di chi sa leggere l’anima dietro le immagini: rientra nelle iniziative legate alla Settimana della Famiglia l’inaugurazione della mostra fotografica Refugee Identity, tratta dagli scatti dell’ascolano Pierluigi Giorgi.

L’appuntamento è per domani 19 maggio alle ore 21, presso la sala Cola D’amatrice (ex pescherie in via D’Ancaria) dove, in collaborazione con l’associazione Ong Un ponte per.., si terrà un dibattito sul tema “Cooperazione internazionale e famiglie spezzate”, al quale interverranno il direttore di “Un ponte per..”, Domenico Chirico, e la giornalista di “Avvenire”, Laura Silvia Battaglia.

Fotografo professionista free-lance dal 2004, Pierluigi si occupa di temi sociali e antropologici, in particolare delle problematiche legate a condizioni post-belliche e di emarginazione.

La collaborazione con Un ponte per… nata nel 2008, ha partorito il progetto fotografico che racconta la drammatica condizione dei profughi siriani e della piaga delle persecuzioni delle minoranze in Iraq. La mostra è composta da dodici opere di grandi dimensioni sulla condizione dei profughi siriani e da una serie di diciotto immagini, che racconta con un approccio più reportagistico, la tragica situazione delle minoranze culturali, religiose ed etniche che ad oggi continuano ad essere oggetto di attentati e di violente repressioni in Iraq.

L’associazione di volontariato “Un ponte per..” nasce nel 1991, dopo la fine dei bombardamenti sull’Iraq e l’inizio dell’embargo internazionale, con lo scopo di promuovere iniziative di solidarietà a favore della popolazione irachena colpita dalla guerra. 

Da allora lavora per prevenire nuovi conflitti, in particolare in Medio Oriente ed in Serbia attraverso campagne di sensibilizzazione, scambi culturali e cooperazione internazionale, sempre in stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile locale.

“Un popolo in guerra – commenta Giorgi – é troppo spesso un popolo che cade nell’anonimato, in cui tragicamente le morti diventano tutte uguali ed associate ad un semplice fattore numerico, al più legato ad una categoria di genere o di età. Troppo spesso le persone coinvolte diventano riconoscibili solo in un secondo momento, quando chi fotografa assume più valore di chi viene fotografato. Così come la nostra società ha generato nella topografia del territorio il concetto di non-luogo, credo che il potere –dei nuovi media – continua il fotografo- rischi di spersonalizzare l’uomo che é dietro queste catastrofi. L’uomo perde la sua identità, la sua origine e per la massa i tratti somatici si dileguano in un non-volto”.