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In passato, occupandomi di donne lavoro e maternità, leggevo molti dati. Sintetizzarli sarebbe molto complesso ma il quadro che ne emerge è un po’ quello descritto nel Rapporto “Avere figli in Italia negli anni 2000: approfondimenti dalle indagini campionarie sulle nascite e sulle madri”, pubblicato dall’Istat poche settimane fa. Si fanno pochi figli, l’età della prima gravidanza è sempre più alta, le donne non riescono a conciliare vita lavorativa e familiare. Ma quello che mi colpì negativamente, ai tempi, fu la differenza di genere tra gli iscritti al centro per l’impiego distinti per titolo di studio. Le laureate in cerca di lavoro sono circa il doppio dei loro colleghi uomini, almeno era questo ciò che emergeva da un’analisi che avevo condotto sui dati relativi alla Provincia di Ascoli Piceno, ma i numeri erano simili e si ripetevano in molte altre parti d’Italia. In parole povere, significa che in Italia se hai un alto titolo di studio e sei donna, trovi molta difficoltà ad impiegarti – a parità di condizioni – rispetto agli uomini. Il paradosso era sconcertante, capii che nel nostro Paese avere una formazione più completa non era necessariamente un valore aggiunto e le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dipendevano soprattutto dalla scelta di diventare madre. Sempre i dati mostravano che i maggiori ostacoli si presentavano nell’intervallo “riproduttivo” dai 25 ai 40 anni, lo stesso in cui c’era un’impennata dei licenziamenti dopo la nascita del primo figlio.

ITALIA E GERMANIA – Forse il problema sta nel fatto che alle donne italiane non viene riconosciuta la capacità riproduttiva. Una provocazione d’obbligo se si guardano le esperienze degli altri Paesi europei dove la maternità ha maggiori tutele che da noi. Prendo ad esempio il caso della Germania che conosco meglio. C’è una parola specifica che descrive la quota di denaro che lo Stato deve a ogni nascituro, kindergeld – appunto denaro per bambino – , unito ai sussidi che la famiglia percepisce nei primi anni di vita del figlio, a seconda del lavoro dei genitori. In Italia, come si sa, molte precarie non hanno diritto alla maternità, vale a dire che è un po’ vero quello che si è scritto sopra, cioè che la capacità riproduttiva di una precaria non vale come quella di una con contratto fisso. Per non parlare dell’invisibilità delle professioniste con partite Iva.
Ma se ci soffermassimo a riflettere sul modo di approcciare la maternità in Italia e in Germania, cominceremmo a parlare di mondi molto distanti, seppur nella stessa Europa. La sottoscritta, personalmente, è rimasta turbata. In Germania la sanità è gestita da assicurazioni più o meno pubbliche che coprono un po’ tutto, la neomamma ha diritto non solo a partorire nella struttura che sceglie, ma può usufruire dell’aiuto di un’ostetrica a casa nel primo mese di vita del bambino. In alcuni casi ci si può far aiutare da una persona per qualche tempo, qualcuno che assista la madre nei primi e delicatissimi mesi di vita del bambino, un’aiutante che verrà poi retribuita dallo Stato.
E in Italia? La donna se la deve vedere da sola, al limite se si è fortunate si ha il consiglio di una madre o di un’amica. La differenza tra i due Paesi sta pure nel costo di un figlio: in Germania pannolini, alimenti per bambini, latte e sim. hanno prezzi minori rispetto all’Italia. L’ “investimento” in un figlio è meno oneroso e gli asili nido non presentano le tariffe del Belpaese. Inoltre, se non si trova posto in asilo nido, non è raro vedere in Germania le Tagesmutter, ragazze che fanno le tate e si occupano di un gruppo di bambini piccolissimi, dopo aver frequentato un corso per l’abilitazione a questo tipo di mestiere. In attesa di riscontri dal Jobs act, dove sono previste misure per estendere la tutela della maternità e la conciliazione dei tempi casa-lavoro, non si può non dar voce a chi, nel proprio piccolo, cerca di dare un contributo personale al miglioramento dell’esperienza della maternità.

L’INCHIESTA SU PICENO33 – Per il numero di febbraio abbiamo ascoltato l’associazione Lotus Nascita presieduta dalla psicologa Teresa De Angelis, con sede nel centro Brainjog. Lotus ha un approccio alternativo alla maternità e svolge la sua attività muovendosi su tre direttive. Quella di lavorare sulla riscoperta di se stessi, delle proprie potenzialità e delle capacità di cui ogni persona è naturalmente dotata. Quella di lavorare tenendo ben presente l’integrità psico-fisica delle persone, che non può essere trascurata. Questa è la ragione per cui nei percorsi nascita, sia pre parto sia post parto, si alternano varie figure professionali (ostetrica, psicologa, osteopata, insegnante di yoga e danzamovimentoterapeuta, nutrizionista) che lavorano con l’obiettivo di accompagnare le persone verso una consapevolezza corporea ed emotiva. L’associazione, infine, è l’unica che offre dal 2010 nel territorio del Piceno dei percorsi nascita, sia prima del parto che dopo il parto, rivolti alle coppie in attesa. “Noi partiamo dal forte presupposto che ogni bambino ha diritto ad avere entrambi i genitori, questa è la ragione per cui già durante la gravidanza lavoriamo con le mamme e con i papà” ha dichiarato la presidente.
E sull’importanza della figura del padre, De Angelis tiene a precisare: “il padre e la madre sono coloro che hanno condiviso il progetto di un figlio insieme, sono coloro che si sono scelti per dare al proprio figlio i genitori che sono.
Senza il sostegno e l’appoggio del suo compagno, una madre non è in grado di essere la madre sufficientemente buona di cui il loro figlio ha bisogno. Quello a cui assistiamo ogni giorno è vedere continuamente figli orfani di padri viventi. L’errore più comune che un uomo può fare nel rapporto con i figli è quello di delegare tutto alla sua compagna. Ma lo sbaglio che una donna tende a fare è quello di prendersi totalmente il compito di crescere i figli, lasciando fuori dal campo il compagno e padre. E questo spesso avviene già durante la gravidanza o al più tardi, poco dopo il parto.
Noi sosteniamo che affinché esista un padre, occorre che una madre gli faccia posto e che lui se lo prenda. Quella che viene comunemente chiamata depressione post parto riteniamo sia innanzitutto solitudine post parto, una condizione in cui una donna e madre si trovi perlopiù sola a crescere ed accudire, di giorno e di notte, di notte e di giorno, un bimbo, suo figlio, il cui progetto di vita era stato condiviso col suo uomo”.

FARE RETE TRA LE MAMMEFrancesca Domizioli è invece una professionista del web marketing che da qualche anno gestisce il blog www.mammesbt.it in cui molte donne del Piceno si ritrovano per scambiarsi informazioni e consigli. “La mia attività – dice Francesca – consiste nell’offrire alle mamme l’opportunità di mettersi in contatto sia virtualmente che concretamente per diversi motivi (richieste di aiuto, di lavoro, di confronto, di consigli) anche attraverso la segnalazione e l’organizzazione di eventi/incontri che trattano argomenti di loro interesse (alimentazione, diritti e doveri dei genitori, scuola, pronto soccorso pediatrico)”.
Le madri che si rivolgono a lei sono “in cerca di confronto e conforto, mamme in cerca di lavoro o semplicemente mamme che hanno voglia di condividere una loro esperienza (dal parto al parco giochi). Sono mamme della Provincia, ma anche da fuori Regione che devono trasferirsi e chiedono consigli e info sul territorio, o mamme che vengono in vacanza e cercano eventi per bambini e famiglie oppure ancora mamme che chiedono cosa fare per partorire nell’ospedale di San Benedetto del Tronto durante le loro vacanze”.

L’inchiesta completa sul free press Piceno33 distribuito in tutta la Provincia di Ascoli Piceno.

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