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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si parla tanto di diritto alla maternità e di welfare, ma nei fatti il ritornello è sempre lo stesso: una donna con un contratto, che rimane incinta, grava sulle spalle dell’imprenditore. Ora, se nelle grandi aziende, si corre ai ripari con un turnover – più o meno sostenibile a livello economico – nelle piccole imprese, soprattutto quelle artigianali, è il datore di lavoro che si accolla la situazione, con un contributo dell’Inps che copre sì l’80% della maternità ma che non risolve il problema di una dipendente in meno.

LA STORIA DI UN’ESTETISTA – “In meno di 10 anni di attività le varie maternità mi sono costate 40 mila euro”, commenta un’imprenditrice della Riviera che ci ha chiesto di non rivelare il suo nome. Ci ha raccontato la sua storia non per sfogarsi e nemmeno perché abbia trovato ingiusto il fatto che delle sue dipendenti, nel giro di qualche tempo siano rimaste incinte e anche più di una volta. Ci ha raccontato la sua storia per puntare il dito contro uno Stato che abbandona le piccole imprese a se stesse. “L’Inps contribuisce alla maternità sulla carta per l’80% e a me resterebbe di pagare il 20%, ma quando faccio i conti tra conguaglio e tredicesima, le percentuali cambiano un po’ – continua l’imprenditrice – e di fatti io avuto in un caso addirittura due dipendenti che non lavoravano, ma in parte le ho pagate lo stesso. Inoltre tutto il loro lavoro, non potendomi permettere di assumere nessun’altra, è ricaduto su di me”. L’imprenditrice ci ha confessato che in quel periodo ha lavorato anche oltre 14 ore per sopperire alla mancanza di manodopera. Per non parlare del fatto che a fine mese, lo stipendio sicuro ce l’hanno le sue dipendenti e non lei  e quando va bene rinveste sull’attività. Ma questo è un altro discorso.

SITUAZIONE NELL’ASCOLANO – Abbiamo raccontato uno dei casi, in cui, comunque il datore di lavoro si mette una mano sulla coscienza e l’altra nel portafoglio e poi si dà da fare per sopperire alle mancanza. Ma non tutti i datori possono accollarsi il lavoro dei propri dipendenti, come nel caso di un centro estetico in cui tutti svolgono le stesse mansioni. In tante altre situazioni poi, denunciate dallo Sportello di Ascolto Rosa dell’Usb ad Ascoli Piceno, la condizione della donna in maternità rimane critica, e se non tutelata da contratto, come a volte succede soprattutto nei periodi di crisi, questa perde il posto di lavoro o è costretta a rientrare a qualche giorno dopo il parto. Oppure, e se ne sentono tante di questo genere, ci sono ditte che per evitare i disagi di una maternità non assumono più donne. Se lo Stato invece venisse incontro alle aziende, e alle donne con un welfare serio, tutta questa difficoltà non esisterebbe e il datore di lavoro probabilmente non dovrebbe più storcere il naso a ogni gravidanza. Come avviene in tanti altri paesi europei.

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